Argenta - Rimini

January 2024
A four-day reflection on two wheels Read more
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  • Day 1

    ¡Coge el tren!

    January 27 in Italy ⋅ ☀️ 10 °C

    Come spesso mi capita, quando arriva il momento di partire non sono per niente convinto di quello che sto facendo. Mi faccio prendere da una sorta di ansia da prestazione. Invece che essere felice di affrontare una nuova avventura, mi sento stressato e negativo. Poi quando parto seriamente (quando comincio seriamente a pedalare) mi distendo un po’. Spero sia così anche stavolta.
    Ad amplificare questa negatività ci si mette pure la nebbia. Non nascondo che sono un po’ agitato all’idea di non avere visibilità, ed incazzato al pensiero che non mi potrò godere il paesaggio. Vabbè, che ci posso fare?
    Comunque il viaggio (il mini-viaggio) sta per iniziare, e spero che, come le altre volte, durante il suo srotolarsi io riesca a riempirmi di sensazioni (buone e non, l’importante è provare qualcosa). Però oggi in treno ha prevalso come sempre la preoccupazione che qualcosa potesse andare storto, colpa della mia eccessiva apprensione per ogni fottutissima cosa.
    C’è stato solo un momento, una ventina di minuti, in cui, preso dalla stanchezza, mi sono assopito sull’intercity mentre in cuffia ascoltavo la mia playlist; e in quei venti minuti sono riuscito a svuotarmi di ogni eccessiva preoccupazione e a fluttuare in uno stanco presente. È bella quella sensazione di pace e di torpore, è bello sentirsi sospeso tra la veglia e il sonno. È bello sentirsi leggeri.
    Che il viaggio abbia inizio.
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  • Day 2

    Pale Foggy Sun

    January 28 in Italy ⋅ ☀️ 9 °C

    La colazione è servita alle 7:30, direttamente ospite in casa dei proprietari. Cerco di non sentirmi in imbarazzo, ma è più forte di me. Però riesco comunque a scambiare qualche battuta con i coniugi e con il figlio, che ci raggiunge dopo (ps: quando parla in dialetto non riesco a capire nulla). Pago, ringrazio, mi congedo, finisco i preparativi, mi vesto ed esco. Nebbia. Tanta troppa nebbia, di quella che ti mette addosso il male di vivere. La nebbia è straniante, appiattisce tutto, anche il mio entusiasmo.
    La prima parte di tappa è piatta appunto, in tutti i sensi. Tra Argenta e il paese successivo navigo per lungo tratto su una striscia di terra fangosa che si perde nel nulla. Non c’è dislivello, la strada si srotola lenta e umida su una distesa di nebbia pianeggiante. Quello che mi stupisce è la quantità di casolari abbandonati che supero lungo il percorso. Casolari su casolari, con cancelli che ormai non proteggono più nulla.
    Gli occhiali si riempiono di goccioline di condensa, il morale non è né basso né alto, è piatto come tutto il resto. Sono un po’ nervoso perché capisco che sto attraversando posti e paesaggi sicuramente pazzeschi, ma non riesco a vederli per la quantità di foschia che c’è.
    Arrivo ad Imola (circa metà del percorso di oggi) nella più totale indifferenza, mia e della cittadina. Le mie emozioni, come prevedibile, sono annichilite dal solito dilemma che occupa gran parte dei miei viaggi: cosa e dove mangerò? Nel frattempo lambisco le porte della città, senza addentrarmi, senza nemmeno la voglia di curiosare per le vie del centro. Forse è il troppo freddo, forse è la nebbia, forse sono io. La scusa che ripeto a me stesso è che queste città, in generale i medio/grandi centri urbani sono luoghi perduti: centri storici circondati, quasi intrappolati dalla modernità, cemento su cemento.
    Passo sotto l’autodromo, e qui si comincia ad assaggiare un po’ di salita. La prima è sempre la più devastante, forse perché si ha un ricordo distorto ed “idilliaco” dei dislivelli passati. Fatto sta che non sono mai pronto alla prima. E infatti fatico, sbaglio rapporto, impreco, maledico la mia infelice idea di questo viaggio. E in più la nebbia (manco a dirlo) amplifica quella percezione per cui la salita sembra non finire mai, perché in questo caso la fine non si vede proprio. Cerco di indovinare, di sperare in una fine. Forse arriverà prima la mia, di fine. Poi però arriva anche la discesa, e quella sensazione di sollievo quando senti i muscoli delle gambe che mollano la presa e si rilassano è impareggiabile. Tra continui sali scendi e una discesona finale, arrivo a Riolo Terme. Pausa pranzo al chiosco La Vecchia Stazione del Corriere, proprio vicino all’ufficio postale. Sembra che io abbia il fiuto per questi posti “da postino”. Pranzo a base di hamburger e patatine. Il locale è strano, ci sono richiami al sud america, all’argentina in particolare. Scopro poi che il cuoco è sposato con una argentina, e tutto torna.
    È bello perché un viaggiatore su due ruote desta sempre un po’ di curiosità nella gente. Il cuoco infatti attacca bottone e mi chiede dove sono diretto. Poi mi rivela che anche lui vorrebbe viaggiare in bici, nel paese nativo della moglie magari.
    Mi ha fatto piacere questa breve conversazione, ha compensato un po’ quella sensazione di imbarazzo che percepisco quando entro in un locale in qualità di forestiero. È come se non sentissi il diritto di star li, di rompere in qualche modo la quotidianità del posto… boh, forse sto scrivendo troppe cazzate.
    Una volta ripartito mi vengono in mente delle domande per il cuoco. È sempre così: a scoppio ritardato mi prende la curiosità di fare domande. Per esempio: dove si sono conosciuti lui e sua moglie, qui in Italia o in Argentina? Non lo saprò mai.
    Si riparte. Uscito da Riolo, la strada arrampica ancora. E qui apprezzo la differenza tra affrontare una discesa a stomaco vuoto ed affrontarla con la pancia piena. E con il sole pure. Si perché è uscito anche lui! Inizialmente un po’ timido a Riolo, poi abbastanza spettrale dietro al velo mortale della nebbia; ma poi finalmente convinto si è lanciato fuori, quasi si fosse ricordato del magnifico potere rigenerante che ha. Si fatica comunque, ma lo spirito è un altro. Mi scappa anche un breve urlo liberatorio, e mi viene in mente “I’ll follow the sun” dei beatles. Altra salita, altro discesone, e stavolta si giunge a Brisighella, che deve essere un borgo piuttosto carino, anche se l’ho visto di sfuggita (giusto la piazza principale, ma anche la rocca sembrava figa), dal momento che si è insidiata in me la preoccupazione di non riuscire ad arrivare prima del buio alla meta (come al solito poi, sono stato smentito… ma non imparerò mai). La tappa poi prosegue liscia, senza particolari emozioni, anche se adesso la gamba è tornata agile e il mio umore è di nuovo settato sulle frequenze giuste. Anche se ad un tratto un pensiero fastidioso si fa strada: io sono troppo borghese per viaggiare in bicicletta. Le mie non sono avventure, sono solo capricci di una persona triste e annoiata, che vuole fuggire, evadere, allontanare la quotidianità perché non riesce a vedere il bello della semplicità. È vero, il viaggio in bici mi libera da certe zavorre. Ma vorrei viaggiare per uno scopo più nobile, assaporare più profondamente i posti che scorrono davanti ai miei occhi. E invece per me l’importante è solo andare, spingere su quei pedali e nulla più. Non me ne frega niente di quello che vedo, mi interessa solo fare foto accattivanti da postare su Instagram. Viaggio con una bici da 2000€, dormo in hotel e mangio al ristorante. Questa non è una avventura. Io sono un privilegiato. I viaggiatori sono altri. Forse un giorno, quando capirò (che cosa capirò?) li rifarò questi viaggi e li vedrò veramente questi posti. O forse semplicemente ripenserò a tutto ciò che ho fatto e riuscirò a trovarci un senso. Ma per il momento no, per adesso devo solo andare, stare sempre in movimento e lambire il mondo, dargli un’occhiata superficiale e disinteressata.
    Vabbè, in tutto questo verso 17:30/18 arrivo al B&B appena fuori Faenza, lungo la via Emilia. Fine della giornata. Non prima di essermi abbuffato in camera.
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  • Day 3

    Sali, impreca, scendi.

    January 29 in Italy ⋅ ☀️ 6 °C

    Tante, troppe sensazioni; troppi spunti di riflessione che se non annoto subito si perdono nel flusso impetuoso del mio pensiero. Vabbè, provo comunque a fare un recap.
    La tappa di oggi è stata difficile, forse più a livello mentale. Ma si sa, se la mente soffre anche il corpo la segue come un segugio. Paesaggisticamente molto più bella di quella di ieri, anche perché oggi finalmente è uscito il sole! In realtà mi sono svegliato immerso nella nebbia, ma si percepiva che era una nebbia più scarna, più magnanima, che avrebbe sciolto il suo abbraccio letale e avrebbe consegnato la libertà al sole.
    Ma andiamo con ordine. Dopo una colazione buona ma insufficiente, mi sono preparato in modo molto zen e sono partito attorno alle 8:40. Non ho fatto in tempo a fare i primi 5 km che già ho dovuto affrontare la prima salita di giornata: un continuo saliscendi, rampe alternate a super-discese, leitmotiv di tutta la prima metà di tappa. Scalare e imprecare, poi giù a testa bassa in discesa e urlare di gioia. Le gambe sono in fiamme, l’ansia sale perché quei km non aumentano mai. Però il paesaggio è spettacolare. Una volta in quota, perforo la foschia e il sole illumina una vista a 360 gradi su una distesa di colli che sbucano dalla soffice bruma: come se la campagna si fosse trasferita sopra le nuvole, per trovare un po’ di pace, una tregua dall’uomo. Ad un certo punto, mi scopro ad affrontare una salita sulla cresta di uno di questi colli. Un cane randagio sbuca dal nulla: un fantasma, una visione, che sembra puntarmi ma poi mi passa di fianco e si avventa su un’immaginaria preda nascosta nell’erba. Che bello vedere la libertà nei suoi occhi, nei suoi gesti.
    La prima salita termina e scollino verso Castrocaro Terme. La filosofia è sempre quella: lambire, mai attraversare e penetrare arrogantemente un posto; sembra saperlo anche il Garmin, che non si arrischia a propormi un itinerario più “culturale”. Ma all’uscita del paese, ecco che sperimento a mie spese le imperfezioni della tecnologia. Vengo ingannato e trascinato su una rampa di fango che si perde nella nebbia. Non vedo la cima, sembra l’ascensione di un penitente verso il Monte Olimpo, verso un fantomatico paradiso, o verso un inferno di nebbia. Sono costretto a scendere dalla bici e spingerla a mano; scivolo, impreco, annaspo, impreco di nuovo, mi fermo e riprendo fiato, provo ad intuire e a sperare in una cima, poi finalmente tutto finisce. Finisce però anche il mio stoicismo: da questo momento in poi ogni minimo dislivello sarà fonte di imprecazioni e maledizioni. Sali scendi, sali scendi, sali sali e scendi… basta! Non ne posso piú! Il panorama però mi ripaga di tutto l’immane sforzo che mi sembra di compiere. Queste colline ti cullano l’anima, i loro dorsi dolci e levigati ti invitano alla calma, alla pazienza, alla gioia di vivere. Tra strade bianche, sentieri, asfalto sconnesso e single track, delineo il profilo di questo paradiso che circonda Forli. Alla fine scolino e torno sui cari vecchi bei provincialoni. Un po’ mi siete mancati, mi dico, ma presto mi trovo già pentito. Il rumore delle auto che ti sfrecciano di fianco, lo spostamento d’aria prodotto dai mammut del terzo millennio, sono fonte di stress. Sono totalmente concentrato a portare a casa la pelle, non mi è concesso di godere della campagna che sto attraversando.
    Arrivo a Cesena all’ora infernale, quella dell’uscita delle scuole. Per fare un km mi ci vogliono quasi dieci minuti. Poi finalmente torno in campagna, su un gravel piacevole che costeggia un canale e che soprattutto passa dietro a un paio di centri abitati. È bello osservare il dietro le quinte delle case della gente, vedere la parte forse più intima del loro abitare. Non so, mi sembra di avere accesso alla parte più autentica di questi paesi.
    La strada si srotola per la campagna cesenate; mi fermo sull’argine del canale a mangiare il mio panino con la marmellata, dopo aver deciso di raggiungere i miei genitori a Cesenatico. I luoghi si fanno sempre più familiari, sono gli stessi che ho assaggiato l’anno scorso insieme a Egon. Ed eccomi sul Porto Canale della città, ed ecco i miei genitori che mi sorridono da dietro il vetro di una piadineria. È bello vederli in questo contesto, anche se mi sento un po’ “sospeso”, perché in realtà la tappa non è ancora terminata, l’appuntamento vero è per questa sera a Rimini per mangiare tutti insieme.
    Ad ogni modo, a Cesenatico l’atmosfera è particolare: rarefatta, sospesa, galleggiante in una foschia dorata che le conferisce un fascino felliniano. Poca gente che passeggia verso il molo, silenzio e pace dei sensi. Ma devo andare. Il tempo di fare un paio di foto da mandare a Egon e sono di nuovo settato sui 20 orari verso Rimini. Il sole cala, la foschia avanza e investe di nuovo il litorale. L’atmosfera si fa spettrale km dopo km. Attraverso Igea Marina e l’impressione è quella di una città popolata da fantasmi che appaiono dal nulla al mio passaggio. Probabilmente, se mi girassi indietro una volta che li ho superati, non vedrei altro che la strada deserta.
    Si accendo i primi lampioni, si spengono piano piano le luci di questo breve viaggio. Ed ecco Rimini, finalmente. Sono abbastanza stanco e mi dirigo direttamente all’hotel. Il tempo di sistemarmi e docciarmi, poi esco e vado a cenare a Borgo San Giuliano con la mia famiglia. Inizialmente mi pento di avergli proposto questa reunion fuori confine, dal momento che come al solito mio papà e mio zio sono entusiasti come un fiore su una lapide. Ma una volta seduti davanti a un bel piatto di pappardelle, ogni incazzatura si dirada come la foschia di questi giorni e lascia spazio a un sorriso e ad un serata piacevole. Abbiamo il tempo anche per un rapido giro in centro città. Sempre bella e affascinante Rimini, peccato per la nebbia. Risaliamo in macchina, torniamo all’hotel, ci salutiamo. Sono felice, per me e per loro. Gli voglio bene e sono questi i ricordi che voglio avere di loro e insieme a loro.
    In questi momenti piacevoli non posso fare a meno di pensare al futuro, a quando non ci saranno più… e mi assalgono una tristezza e un’amarezza profonda, perché so che è inevitabile e che non posso fermare il tempo. Posso solo cercare di rendere speciale ogni momento passato insieme. E portarli per sempre dentro al cuore. Dio quanto mi mancheranno…
    Fine del viaggio signori, è stato un piacere, come al solito…
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  • Day 4

    Conclusions

    January 30 in Italy ⋅ ☁️ 6 °C

    So che oggi non ho pedalato, ma ho bisogno di chiudere il cerchio. Mi sono svegliato col sole: ero felice, ma anche un po’ rammaricato perché non avrei potuto godermelo in sella sulla mia Poderosa. Comunque, dopo una abbondante colazione a buffet, sono andato al molo alla ricerca di un ultimo scatto; col senno di poi, forse avrei fatto meglio a godermi semplicemente la vista e il silenzio tormentato del mare.
    Poi dritto alla stazione, treno intercity diretto, che lusso! Il viaggio è stato tranquillo, mi sono rilassato ascoltando un po’ di musica, riscoprendo tra l’altro le buone vibrazioni di “Pet Sounds” dei Beach Boys. Una signora si è seduta di fianco a me a Cesena: un po’ fastidiosa, però ho mantenuto la calma e abbiamo scambiato due battute. Mi ha detto che stava andando in Africa, ma non avevo voglia di parlare, così lo spunto di conversazione si è perso nel nulla. Non l’ho nemmeno salutata quando me ne sono andato, ma ormai non mi stupisco più di me stesso.
    Anche oggi un pensiero, quel pensiero, viene e va: io non sono un viaggiatore, sono solo un privilegiato. Io viaggio in prima classe, con una bici fighissima, prendo intercity diretti da 38€ e dormo con un tetto sopra la testa tutte le notti. No, i viaggiatori sono altri. I viaggiatori sono apolidi, non hanno radici, non hanno soldi, non hanno nulla da perdere, se non le loro certezze. Si lanciano all’avventura senza paura, non pensano troppo al domani, non devono programmare e pianificare, devono solo andare. Io no, ho radici ben piantate e mi sposto, fuggo ma con l’ansia di dover sempre arrivare da qualche parte, in un punto preciso, devo giungere ad una fottuta meta. Ma io non vorrei mai arrivare, io vorrei andare, sempre e per sempre, fino alla fine. Vorrei fosse la morte l’unica meta. E invece il richiamo di casa mia è troppo forte, sento il fastidioso bisogno di ritrovare la sicurezza e il comfort delle mie routine. Io alla fine ci sto bene in questa comoda trappola che è una non-vita scandita dal male delle convenzioni.
    Non sono un viaggiatore, sono solo un disperato che fugge da se stesso, dalla prigione che si è costruito. Alla quale però poi torno sempre perché sono un codardo, perché in fin dei conti ci sto bene in questa prigione.
    Io sono l’opposto del viaggiatore, sono solo l’ombra di qualcuno che vorrei ma che non potrò mai essere.
    In più vedo le immagini dei telegiornali che mostrano l’orrore che c’è nel mondo, e mi sento ancora più misero. Mi sento inutile e impotente, mi sembra di rubare la libertà e la gioia di qualcun altro che la meriterebbe più di me. Perché io la sto sprecando.
    Forse un giorno mi guarderò indietro e riuscirò a trovare un significato. Tutto ciò che ho fatto prima o poi mi apparirà sensato; ma al momento no, non so cosa sto facendo.
    Però so ancora emozionarmi: tra Lodi e Crema ho avuto uno di quei momenti in cui tutto è troppo intenso, in cui il mix di emozioni è così letale che l’unico modo per sopportarle è scoppiare in lacrime. E cosi è stato anche questa volta. Mi sentivo perso e devastato, ma anche fortissimo e felice. Era tutto un gran casino. È tutto un fottuto casino qui dentro.
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