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  • Day 11

    Il museo di Ho Chi Min

    March 25, 2023 in Vietnam ⋅ ⛅ 33 °C

    È il compleanno di Paolino, e purtroppo l’ultima mattina a Hoi An.

    Io e Poli ci svegliamo presto per beccare il sole appena sorto sulle risaie e fare qualche video con l’FPV.
    Poli sta decisamente meglio: ogni tanto ha ancora principi di cagotto ma ride e scherza come il suo solito.

    Facciamo una ricca colazione e prendiamo il taxi dell’albergo che ci porta in aeroporto a Da Nang. Questa volta check-in veloce, imbarco, volo e atterraggio senza quasi sentir passare il tempo.

    A Ho Chi Min abbiamo poco meno di quattro ore, perché poi avremmo dovuto prendere un bus per Can Tho, nel Delta del Mekong.

    L’unica cosa che reputiamo interessante da vedere in città, nel poco tempo a disposizione, è il museo della guerra del Vietnam.
    Dovevamo però prima smarcare una serie di complicazioni:
    Primo, avevamo fame e le continue insistenze di qualcuno sul mangiare un veloce Burger King cominciavano ad avere senso.
    Secondo, dovevamo trovare un posto dove mollare gli zaini pesanti perché, ovviamente, con il caldo era improponibile girare la città completamente carichi.
    Terzo, il museo, la stazione dei bus da dove saremmo dovuti ripartire e il Burger King erano in tre parti diametralmente opposte della città.

    Decidiamo così di prendere un Grab fino alla stazione degli autobus: lasciamo alle signorine del check in gli zaini in custodia pregando di ritrovarli al ritorno, riprendiamo un altro Grab fino al museo con la speranza di trovare qualcosa da mangiare attorno.
    Fin qui ci sentiamo super organizzati. Ma inciampiamo incomprensibilmente sul cibo: accanto al museo non c'è nulla di "commestibile" che non viene servito nel brodo. E non abbiamo certo il tempo per sederci a tavola.

    Entriamo così nel museo senza pranzare e forse, con il senno di poi, è stata la scelta migliore.
    Il cortile del museo è pieno di vecchi aerei, elicotteri e carri armati americani utilizzati nella guerra, ma ciò che ci rimarrà più impresso è sicuramente quello che troviamo al suo interno: una enorme raccolta di testimonianze fotografiche della vera e propria invasione assassina statunitense nel Vietnam, di torture ben oltre i limiti dell’umano, di villaggi rasi al suolo, di gas e veleni sparsi dal cielo che hanno causato nascite di generazioni di bambini malformati. Immagini crude, violente. Abbiamo ringraziato di non aver trovato nulla da mangiare prima di entrare.

    Usciti moralmente provati dall’esperienza del museo, ci accorgiamo di avere poco meno di tre quarti d’ora per presentarci alla stazione dei bus e partire. Prendiamo quindi un Grab al volo, che ci porta al Burger King più vicino. Mangiamo in fretta e furia col terrore di essere lasciati a terra dal pullman.
    Altro Grab fino alla stazione ma l’applicazione sbaglia indirizzo e veniamo mollati a 500 metri dalla nostra destinazione. Corriamo allora nel traffico impazzito di motorini, passando di fronte a negozi di animali, una chiesa con le porte aperte e la gente che segue la messa seduta sui motorini fuori, bancarelle, motorini impazziti e clacson… Arriviamo alla stazione degli autobus alla fine con largo anticipo.
    Prendiamo infine un bus notturno in direzione Can Tho, distesi di nuovo su cuccette scomode con l'aria condizionata in faccia, mentre scende la sera sulla città.
    Saigon (ribattezzata Ho Chi Min in onore del presidente vietnamita che ha condotto il paese all'indipendenza dagli invasori americani) avrebbe forse meritato qualche ora di visita in più, forse addirittura una notte per scoprirne la vita vibrante, di cui consigliano le guide.
    Ma in Vietnam le distanze tra un punto e l'altro sono lunghe e i night bus sono in assoluto la soluzione più economica per percorrerle... solo che ci mettono di più.

    Arriviamo alla stazione dei bus di Can Tho che sono ormai le dieci di sera, senza apparente fame. Solo voglia di sdraiarci a letto.
    Il Bamboo Eco Lodge si era raccomandato di prendere lo shuttle gratuito della stazione fino ad un indirizzo in città, dove la loro navetta ci sarebbe venuta a prendere. Non abbiamo voglia di attendere lo shuttle: contrattiamo un taxi e ci mettiamo subito in marcia per il centro.
    Entriamo così in una città vuota, buia e deserta. Qualche motorino in croce ma eravamo convinti di trovare Can Tho più movimentata.
    Veniamo mollati dal taxi nel punto indicato dall'hotel, nel bel mezzo di una viuzza buia e spettrale.
    Pochi minuti dopo però, dal nulla sbuca una golf car, guidata da un tizio che ride ogni due secondi. Partiamo a bordo della golf car, immergendoci nell'oscurità totale. Nel buio vediamo poco, riusciamo a capire però che stiamo costeggiando un fiume: la strada si fa sempre più stretta in mezzo alla natura tropicale, illuminata ogni tanto da lampioni bianchi. Ci fidiamo però del pilota che non sembra battere ciglio anzi, ad ogni scossone ricomincia a ridere. Inquietante.
    Arriviamo finalmente di fronte all'hotel: un complesso bellissimo costruito tutto con canne di bamboo, con lampioncini a terra e lucine appese ovunque. Le camere sono bellissime, affacciate ad un fiumiciattolo pieno di pesci giganti. Il bagno è esterno alla camera e fare la doccia con i gechi che ti guardano minacciosi è un’esperienza indimenticabile.
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