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  • Day 12

    Il mercato galleggiante di Can Tho

    March 26, 2023 in Vietnam ⋅ ☀️ 35 °C

    La sveglia suona alle 4:50.
    Presto. Prestissimo. Ma necessario.
    Can Tho è famosa per il suo mercato della verdura su barche. Un'esperienza di cui abbiamo letto tanto, con però un unico, scomodo particolare. Il mercato si svolge solamente alle prime ore dell'alba. Pensare di trovare qualcosa a metà mattinata era impossibile.
    Anche lo staff gentilissimo dell'albergo, che ci aveva atteso con ansia la sera prima, ci aveva avvertito della cosa. Di non partire più tardi delle cinque se volevamo riuscire a vedere il mercato fluttuante.

    Per cui, terribilmente assonnati, usciamo dalle camere alle cinque del mattino, trovandoci immersi nel buio con cui eravamo arrivati la sera prima.
    Inforchiamo le biciclette messe a disposizione gratuitamente dall’albergo e ci buttiamo di corsa sulla stradina stretta nella natura che costeggia il fiume. Man mano che arriviamo alla strada asfaltata vediamo come l’intera città sia già sveglia e brulicante ancora prima dell'alba.

    Scorgiamo i classici baracchini, con i locali che cucinano pollo e noodles, gente che beve caffè seduta sulle seggioline di plastica in strada o all’interno di stanze disastrate, illuminate solo da una lampadina fredda. Anziani che fanno ginnastica sul posto, mentre aspettano che venga preparato il loro bahn mi mattutino.

    Mi godo ogni secondo di questa pedalata, nel crepuscolo dell’alba, quando il mondo non sa che esistiamo, ma sono lì presente, libero e curioso. È una sensazione che non dimenticherò mai.
    Il sole sta sorgendo, quando arriviamo finalmente nel centro di Can Tho, alla ricerca del famoso mercato galleggiante. Costeggiamo per un pò uno degli affluenti del fiume Mekong, scorgendo già le prime imbarcazioni piene di turisti con addosso i giubbotti di salvataggio arancioni. Non capiamo però dov’è il mercato, come ci si arriva, cosa bisogna fare per visitarlo.

    Grazie a Google translate però, ci viene data indicazione da un passante: attraversiamo il ponte principale della città mentre il disco rosso del sole si alza lentamente sul Mekong. Uno spettacolo mozzafiato.
    Raggiungiamo la stradina che costeggia il mercato, troviamo sul lato l'entrata di un capannone che offre parcheggio, ma non abbiamo troppo tempo da dedicare ad un giro in barca completo: dobbiamo essere di nuovo in albergo alle otto, per prendere il trasporto che ci accompagnerà ad Ha Tien. Così chiediamo se è possibile fare un giro di una mezz’ora veloce.

    Per 400mila dong (4€ a testa) una vecchietta simpaticissima ci fa salire sulla sua barchetta e ci porta in mezzo al mercato fluttuante.
    Impazziamo: ad ogni angolo dove giravamo lo sguardo c'era una foto pazzesca da fare. Barche piene di verdure che si approcciano una all’altra per contrattare, altre invece che si attaccano a quelle dei turisti per vendergli bibite e cibo in scatola.
    La "vecia" a gesti eloquenti ci propone di fare colazione, così in men che non si dica si attacca ad una barca “ristorante” e, senza poter dire una parola, ci troviamo con in mano un piatto di noodles di riso in brodo, con erbe e peperoncino. I più buoni mai assaggiati nella mia vita.

    Per un altro secondo mi fermo a contemplare quel momento unico: sopra una barchetta di legno, pilotata da una vecchia che ride come una matta, a mangiare noodles piccanti in brodo, serviti da una barca a cui eravamo solamente accostati, nel bel mezzo del mercato fluttuante di Can Tho alle sei del mattino. Non so definire esattamente cosa ho percepito, se felicità, spensieratezza, libertà, vita... forse tutto assieme. Piangevo. E no, non era dovuto al piccante.

    Attracchiamo di nuovo, libero per qualche minuto il drone facendo vedere alla vecia il mercato dall’alto e inforchiamo veloci le biciclette per tornare in hotel.

    Passiamo di nuovo per le strade di Can Tho, ormai sveglie da due ore e brulicanti di vita. Baracchini di cibo fritto, anziane sedute a terra che vendono verdure, motorini, biciclette. Il Delta del Mekong ha i tratti di un vecchio villaggio portuale immerso nella natura, in cui la modernità è arrivata di colpo e ha cercato di stravolgere tutto.

    Arriviamo in hotel già pregustando la colazione ma scopriamo che da lì a poco sarebbe arrivato il taxi per portarci alla stazione dei bus, tutto gentilmente organizzato dai ragazzi della reception a cui dobbiamo un favore enorme.
    Ci laviamo così di corsa (ah si ovviamente, in tutto questo umidità massima e pedalare mezz’ora ci aveva già pezzati a dovere) e carichiamo sulla golf car gli zaini, per intraprendere svelti di nuovo la stradina stretta accanto al fiume e arrivare finalmente al taxi.
    Il conducente di quest'ultimo invece sembra non aver compreso la nostra fretta: musichetta caraibica, aria condizionata a cannone e tutta tranquillità, mentre noi schiumiamo all’idea di perdere il trasporto.
    Arriviamo in stazione dei bus esattamente un minuto prima che il pullman chiudesse le porte: carichiamo gli zaini al volo, ci togliamo come sempre le scarpe per salire e ci lanciamo sulle cuccette vintage mentre già vediamo il parcheggio dietro di noi.
    Il viaggio in pullman questa volta non è per niente rilassante. L’autista supera chiunque come un forsennato e per quattro ore non abbiamo sentito altro che il suo clacson sparato, misto al richiamo di un gallo che scopriamo essere poi stato messo in stiva assieme a decine di pulcini. Ma anche correndo all’impazzata, il pullman ci stava mettendo troppo.

    Siamo partiti con larghissimo anticipo, ma le tre ore e mezza di tragitto previste diventano subito quattro e poi quattro e mezza. E cominciamo a preoccuparci seriamente di mancare la coincidenza del traghetto per Phu Quoc alle due meno un quarto.

    Così provo di tutto, da pregare l’autista e la responsabile di viaggio di accelerare o quantomeno farci portare al molo ricevendo solo insulti, a contattare su Facebook la compagnia dei ferry chiedendo disperato di aspettarci.
    Arriviamo alla stazione dei bus di Ha Tien alle 13:35 (dieci minuti prima della partenza). Lontana due chilometri dal molo. Impossibile a piedi con gli zainoni e il caldo.

    Ci lanciamo letteralmente dentro un taxi e, ordinandogli “Schumacher”, questo capisce al volo e corre come un pazzo. Arriviamo al molo, 13:37. Facciamo gli ultimi cento metri di corsa con gli zaini sulle spalle, proprio come Pechino Express.

    Saliamo a bordo. Ce l’abbiamo fatta.

    Il ferry parte precisissimo alle 45. Usciamo sul ponte di poppa per goderci il sole, il vento e il mare, soddisfatti al pensiero di aver concluso una traversata dal nord al sud del Vietnam bellissima quanto intensa: abbiamo visto posti incantevoli, che solo a ripensarli sembrano passati dei mesi. Abbiamo mangiato di tutto, affrontato problemi e avversità insieme. Siamo stati letteralmente su qualsiasi mezzo di trasporto possibile: aerei, un treno notturno, dei pullman con cuccette, taxi, suv, furgoni, abbiamo guidato motorini e biciclette, abbiamo navigato su barchette di legno, kayak, su uno yacht extra lusso e ora siamo su una motonave, in direzione della nostra ultima e tanto agognata meta: l’isola tropicale di Phu Quoc.

    Il viaggio in traghetto dura poco più di un’ora: all’arrivo c’è ad attenderci un ragazzo con la navetta per il resort Ocean Bay. Attraversiamo l'isola e, non appena entrati nel resort, ci si apre davanti a noi un totale paradiso.
    Veniamo scarrozzati con una golf car enorme alla nostra villetta con piscina fronte mare. Ordiniamo birre e patatine e ci godiamo un tramonto bellissimo in un posto altrettanto irreale.
    Ceniamo nel ristorante dell’albergo vestiti con le nuove camicie su misura di Hoi An, ma siamo talmente stanchi dalla levataccia e dalla giornata intensa che io mi addormento praticamente sul piatto. Ci spariamo a letto, con il rumore delle onde in sottofondo.
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