• Ghiaccio

    27. April 2024 in Island ⋅ 🌬 9 °C

    Sveglia alle 5:30, in macchina alle 6:00. Senza colazione, assonnati e immersi nel freddo. Guidiamo per circa un'ora verso ovest, ripercorrendo la stessa strada dell'andata, incrociando solamente anatre in volo e cavalli. Siamo soli, nel silenzio del crepuscolo mattutino islandese. Anche se la mattina non è particolarmente limpida, il paesaggio è sempre immenso e suggestivo: attraversiamo gli enormi delta del Vatnajokull stupendoci ancora una volta della sua grandezza. Ad un certo punto scorgiamo sulla destra la baia del Jökulsárlón: una distesa di iceberg che si stagliano dalla lingua del ghiacciaio fino ad un canale stretto che si getta direttamente sul mare, ed un ponte di ferro per attraversarlo. Svoltiamo a sinistra e parcheggiamo nel piazzale appena sotto. Paghiamo subito il parcheggio con l'applicazione e smontiamo nel freddo, camminando velocemente verso il mare. Entriamo così nella Diamond Beach, una spiaggia nera famosa per i blocchi di ghiaccio che, una volta staccatisi dagli iceberg e percorso lo stretto canale verso il mare, vengono poi spinti indietro dalle onde per arenarsi pacifici sulla spiaggia di sabbia nera. Lo spettacolo è incredibile e affascinante. Scattiamo centinaia di foto, avvicinandoci sempre di più al bagnasciuga e scappando dalle onde gelide. Il sole ad un certo punto ha fatto addirittura capolino dando un senso ancora più di vita a questi pezzi di acqua ghiacciata che pigramente si lasciano attraversare, spingere e ribaltare dalle onde impetuose dell'oceano. Scorgiamo anche le foche, che in mare e nel canale ogni tanto tirano fuori la testa dall'acqua per osservare tre poveri scemi (Lorenz era impegnato a fare le lunghe esposizioni) che si sbracciano fischiando e cercando di richiamarle.
    Il freddo alla lunga si fa sentire. Così mentre noi tre ci rintaniamo in macchina a fare colazione con il caffè sapientemente preparato in borraccia, Lorenz risale il canale a piedi, passando sotto il ponte di ferro, andando verso la baia. Non resisto e mi precipito a seguirlo. Di fronte a me uno degli spettacoli che mai dimenticherò nella vita: enormi iceberg di un azzurro cangiante che si muovono lenti, cullati e trasportati dalla corrente della baia verso il mare. Le foche che ogni tanto fanno capolino e nuotano nell'acqua gelida contente. I gabbiani che sorvolano l'area scrutando il fondo in attesa di pesce. Il tutto racchiuso in un silenzio glaciale: il cielo grigio coperto di nuvole permetteva alla luce di arrivare fioca morbida, senza creare ombre nel ghiaccio. Un quadro di vita che non ho mai visto da nessun'altra parte.
    Eravamo noi e pochi altri temerari del mattino a vedere quella meraviglia. Non c'erano turisti. Un momento perfetto. Facciamo volare i droni sopra la baia e poi, al limite di sopportazione del freddo, ci rintaniamo di nuovo in macchina.
    Soddisfatti dello spettacolo valso la levataccia, finiamo la colazione al sacco e ripartiamo verso ovest. Pochi chilometri dopo propongo una piccola camminata per provare a visitare un posto visto su instagram ma mai segnato dalle guide. Giriamo così a destra in una strada sterrata che ci porta vicini ad un altro letto del fiume glaciale, che si interrompe all'improvviso e si trasforma in un sentiero che si arrampica per il promontorio e sparisce sotto la montagna. Ci imbardiamo di nuovo con giacche e antivento e cominciamo a risalire il sentiero, spinti da raffiche gelide talmente forti da tenerci in piedi anche abbandonandoci di peso verso il basso. Metro dopo metro, il paesaggio dietro di noi si fa sempre più bello, mentre il sentiero comincia a risalire il costone di un canyon. Arriviamo a scorgere una cascata e, spostandoci per fotografarla meglio, intravedo finalmente il canyon che avevo sognato: Mulagljufur. La roccia nera spaccata, ricoperta di erba verde smeraldo, gabbiani che si lanciano nel vento, un torrente che scorre nel fondo e, alla fine di tutto, una cascata imponente sotto la punta di una montagna innevata. Non mi fido a lanciare il drone, è troppo piccolo e il vento lo avrebbe spinto tra le rocce, ma Lorenz invece non si fa ripetere la cosa due volte e fa volare il suo in mezzo al canyon. Comincia addirittura a nevicare, recuperiamo il drone e ridiscendiamo il promontorio, appena in tempo prima che venisse assalito dai primi turisti coreani in sneakers della giornata.
    Ci rimettiamo in viaggio verso Vik, mentre il sole comincia a comparire nel cielo del mattino islandese, le nuvole si diradano, l'aria si scalda e la strada comincia a riempirsi di turisti diretti verso diamond beach o la spiaggia nera. Ci fermiamo a Vik a pranzare a base di pad thai in un ristorantino thailandese sulla strada mentre il Lorenz disgustato si sfonda di pizza con la pasta nera in un locale bellissimo accanto. Faccio estrema fatica a ritornare alla realtà iper turistica islandese, dopo aver toccato con mano la solitudine e la bellezza della zona dei fiordi, quasi desiderando di saltare l'ultima parte del viaggio e tornare a casa diretti, per conservare il ricordo dell'Islanda autentica che mi si era impresso nella mente. Ma sapevo anche che ci eravamo preparati a questa evenienza, dedicando gli ultimi due giorni di viaggio ad un approccio più relax ed esclusivo della vacanza, come già ci era capitato in Vietnam sulle spiagge di Phu Quok.
    E l'esclusività arriva appena sopra Selfoss, dove abbiamo prenotato una notte speciale in una tenda a cupola. Se dapprima un pò scettici perchè queste grosse cupole di nylon davano su un prato adibito a campeggio, ci sorprendiamo subito dalla cura del loro interno, con cucina moderna, stufette, un letto matrimoniale e uno sopra la struttura centrale in legno scuro. Con bottiglia di vino offerta. Facciamo due passi in esplorazione della zona, per vedere il lago che indicava la mappa appena sopra di noi, ma rimaniamo delusi della vista e ci infanghiamo come mai in tutta la vacanza. Ricordo che abbiamo passato la serata con vino, ciaccole e ultima pasta al pesto, prima di addormentarmi di piombo appena appoggiata la testa sul cuscino del letto.
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