South Iceland

April 2024
  • Lorenzo Busi
A 8-day adventure by Lorenzo Read more
  • Lorenzo Busi

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Car, Group travel, Photography, Short trip, Sightseeing, Wilderness, Wildlife
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  • Partenze non troppo geniali

    April 22, 2024 in Iceland ⋅ ☀️ 11 °C

    È passato un anno dal viaggio meraviglioso in Vietnam, tanto che oramai eravamo stanchi di continuare a parlarne e ricordare i posti fantastici. Era tempo di scrivere nuovi ricordi e avere nuove storie da raccontare.
    Così abbiamo ricominciato a cercare voli e, con sorpresa, è saltato fuori un diretto Milano-Reykjavík a veramente un prezzo stracciato. È bastata una cena insieme per ragionarci, abbiamo comprato i biglietti e cominciato a sognare il nostro primo viaggio in Islanda.

    Lorenzo e Veronica ci passano a prendere a casa alle 10 del mattino. Ci spariamo tre ore di autostrada nella pioggia, guardando l’orologio ogni cinque minuti e inveendo contro chi occupava la terza corsia. Arriviamo a Malpensa in orario ma, inaspettatamente, la coda per il check-in di Wizz air era già lunga e infinita. In più, come se non bastasse, per un disguido tra Volagratis e Wizz air non eravamo riusciti a fare il check-in online e abbiamo dovuto sborsare soldi per farlo in aeroporto. Panino e frappuccino ghiacciato al volo e dritti al gate dove, per non farci mancare nulla, ci costringono a misurare gli zaini e pagare altri soldi per l’oversize di Lorenz. Facendo due conti, abbiamo speso gli stessi soldi a partire da Venezia.

    Ma ormai siamo in ballo.
    Atterriamo alle sette di sera a Keflavík. Troviamo con facilità l’auto e ci mettiamo in marcia. Il nostro alloggio è a due ore di strada: una distanza fattibile se fossimo arrivati alle 16 come da programmi iniziali, ma dopo una riprogrammazione, ritardi eccetera temiamo di arrivare a notte inoltrata. Invece alle sette di sera il sole è ancora alto e già dai primi chilometri l’Islanda si presenta come una terra con viste infinite. Facciamo una piccola spesa per colazione e panini del giorno dopo (70€) e ci mettiamo in strada.
    Più ci allontaniamo dalla grande città, più il paesaggio si appiattisce, con alla destra l’oceano e a sinistra le montagne ancora innevate. Appare all’orizzonte la luna piena e tutto si fa incredibilmente magico.
    Raggiungiamo il nostro cabin alle dieci di sera: una piccola e graziosa casetta nel nulla, circondata dalla nebbia bassa.
    La prima pasta al pesto del viaggio ha il sapore dell’avventura, della libertà, delle aspettative di una terra che già dopo i primi chilometri ha dimostrato di essere un altro pianeta.
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  • La giornata dell’acqua

    April 23, 2024 in Iceland ⋅ ☀️ 12 °C

    Vuoi per il fuso, vuoi per l’emozione, alle sei del mattino siamo gia svegli e la luce del sole islandese ha già riempito le stanze del nostro cabin sul nulla.
    Colazione con pane tostato e marmellata e ci mettiamo in marcia.
    Prima tappa: la vicina cascata di Seljalandsfoss. Siamo fortunati e le flotte di turisti devono ancora arrivare. Paghiamo un po’ stizziti 6€ per il parcheggio e ci buttiamo sotto la potenza della cascata. È indescrivibile la quantità d’acqua che cade in ogni secondo, talmente tanta che quando impatta con il laghetto sottostante, muove folate di vento e gocce da lavarti dalla testa ai piedi semplicemente avvicinandoti a una decina di metri. Facciamo il giro dietro la cascata e visitiamo anche la seconda poco più avanti, nascosta in un piccolo canyon. Anche qui lavati dalla testa ai piedi, ma fortunatamente i vestiti waterproof reggono benissimo.
    Ci spostiamo con la macchina qualche decina di metri più avanti sulla strada per far volare il drone sopra la cascata e proseguiamo. Questa parte del sud dell’Islanda è facilmente raggiungibile da Reykjavík per cui più passa il tempo, più turisti cominciano ad arrivare.
    E come previsto, Skógafoss comincia ad essere invasa quando arriviamo. Turisti a parte però, la cascata lascia di nuovo senza fiato, con le particelle d’acqua che creano arcobaleni ad ogni angolo.
    Tra una foto e l’altra, si è fatta ora di pranzo. Scegliamo di percorrere un po’ di strada per trovare un posto con vista per mangiare i panini preparati al mattino, così risaliamo la punta di Dyrhólaey e pranziamo con vista sulla spiaggia nera, illuminati dal pallido sole islandese.
    Ritorniamo sui nostri passi per andare dall’altra parte della baia e ci fermiamo all’ingresso della spiaggia nera. Dopo un rigenerante caffè al bar del parcheggio, facciamo due passi nella spiaggia, liberando i droni e facendo amicizia con un video maker ceco infastidito dai turisti che mollano droni sopra la folla senza saperli usare.
    La strada per l’hotel è lunga e la luce calda dell’infinita golden hour rende tutto ancora più suggestivo. Ci fermiamo prima a bordo strada a fotografare dei cavalli bellissimi che sembrano non aspettare altro che le carezze di qualcuno, e strappiamo gli ultimi minuti di sole in un piccolo canyon con cascata finale.
    Ceniamo lungo la strada a Kirkjubæjarklaustur, in un piccolo ristorante con pizze extra cariche e un gruppo di sivola al tavolo accanto.
    Arriviamo infine in hotel che il sole è calato da un po’ ma, come la notte prima, luna piena e crepuscolo permanente ci nascondono l’aurora boreale.
    Non abbiamo però tempo di aspettare la notte fonda, domani dovremo svegliarci presto perché ci attende il trekking sul ghiacciaio.
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  • Vatnajökull

    April 24, 2024 in Iceland ⋅ ⛅ 7 °C

    Ci svegliamo di buon ora. Colazione rapida nel ristorante dell’hotel, fatte le valigie e partiamo sempre direzione est. Abbiamo un’ora di tempo per arrivare al meeting point con la nostra guida e fortunatamente nella ring road alle otto del mattino non c’è nessuno. Ci incontriamo con Andrew di Heading North, una compagnia locale che organizza escursioni private sul ghiacciaio. Abbiamo preferito spendere qualche euro in più per un’esperienza più autentica possibile (top Lorenz) e già dal mezzo con cui Andrew ci è venuto a prendere, sapevamo che lo sarebbe stata di certo.
    Ci facciamo portare in mezzo al nulla, parcheggiando dopo mezz’ora in quello che si vedeva essere il letto del ghiacciaio fino a trent’anni fa. Ci siamo così equipaggiati di imbraghi, caschi, ramponi e picozze e abbiamo cominciato una bellissima camminata di mezz’ora nella tundra per avvicinarci al ghiacciaio. Il paesaggio attorno a noi, man mano che ci avviciniamo, diventa sempre più lunare. Siamo solo noi, con chilometri di nulla attorno.
    Due scalette e una corda più avanti ci approcciamo finalmente ad una delle tante lingue del Vatnajökull. Indossiamo caschetto e ramponi e cominciamo a risalire il ghiaccio. Una sensazione incredibile: abbiamo camminato tante volte sulla neve in montagna ma arrampicarsi sulla superficie di ghiaccio cristallizzato ci proietta direttamente sul pianeta di Interstellar, dove Matthew McConaughey va a salvare Matt Damon. Andrew ci conferma che quello è proprio il ghiacciaio dove hanno girato il film, ma un paio di lingue più a ovest. Camminiamo per due ore sul ghiaccio, scoprendo buchi enormi scavati dall’acqua in pochissimi giorni, rivelando strati di cenere vulcanica che Andrew ci racconta essere stata datata ad un’eruzione avvenuta trecento anni fa. Il ghiaccio, che in diverse angolazioni prende un colore blu intenso, sembra tinto di inchiostro. Rimango ossessionato dai colori di questa magia.
    Ci fermiamo più in alto a pranzare, anche se si sarebbe potuta risalire la lingua del ghiacciaio per giorni. Continuiamo a rimanere estasiati dal panorama e un panino al formaggio e hummus acquista tutto un altro sapore in questo posto.
    Dopo aver fatto volare i droni e scattato foto senza senso, riprendiamo la salita per qualche altra decina di metri. Prima di cominciare la discesa però, Andrew ci fa scoprire una grotta di ghiaccio scoperta un paio di settimane prima. Letteralmente un buco blu del diametro di quattro/cinque metri. Camminarci dentro è stato qualcosa di surreale: pareti di ghiaccio lisce, trasparenti, con le bolle d’aria ancora intrappolate. Uno spettacolo impagabile che Andrew ci spiega sarà così ancora per pochi giorni, dopodiché si scioglierà.

    Ridiscendiamo il ghiacciaio carichi ed ancora esterrefatti per l’esperienza vissuta. Tanto che la camminata di ritorno per l’auto la passiamo quasi in silenzio, godendoci la pace della valle, interrotta dal fragore delle cascate.

    Da programma saremmo dovuti tornare un po’ sui nostri passi per vedere la diamond beach con il tramonto, ma la giornata di sole e vento ci ha completamente sfiniti. Così scegliamo di proseguire verso Höfn, fare la spesa al supermercato del villaggio e rintanarci nel cabin appena fuori: una casetta nera, in legno dentro e fuori, con una cucina moderna e dei letti spaziali.

    Mangiamo riso con verdure e polpette vegetariane. Beviamo birra islandese e crolliamo presto.
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  • Alla ricerca dei puffin

    April 25, 2024 in Iceland ⋅ ☁️ 3 °C

    Il 25 Aprile è un giorno di festa anche in Islanda, ricorre infatti quello che per loro è il primo giorno d’estate. Non avendo delle vere e proprie mezze stagioni, e con i solstizi molto estremi, il 25 aprile per loro segna l’inizio dei sei mesi di luce perenne. Ma a parte qualche macchina in più per strada, questa festività non sembra aver cambiato tanto il paesaggio che ci appare fuori dalla vetrata del cabin di legno scuro. Qualche nuvola, un po’ di vento in più rispetto al solito ma ce lo facciamo andare bene lo stesso. Facciamo colazione di buon’ora con pane e marmellata e biscotti con in mezzo il cioccolato.
    Ci rimettiamo in marcia, di nuovo in direzione est, ma non passano neanche dieci chilometri che cominciamo a fermarci per scattare foto a tutto. Le nuvole sono pazzesche e proiettano forme straordinarie sui promontori che si tuffano sulle spiagge nere illuminate dal sole del mattino.
    Avvistiamo su di un crinale a fianco della strada le nostre prime renne e, qualche centinaio di metri più avanti, deviamo dalla strada principale per avvicinarci ad una spiaggia infinita che, bagnata da pochi centimetri d’acqua, riflette a specchio le montagne. Mettiamo a dura prova le scarpe di Lorenz guadando i torrenti a tutta velocità e Veronica fa la sua prima lezione di volo con drone.
    Un po’ in ansia per tutta la strada che avremmo dovuto percorrere, tiriamo un po’ con l’auto, mangiandoci le mani ogni volta che si rinuncia a fermarsi per scattare foto. Ad ogni modo notiamo che, superato il villaggio di Kofn, le macchine sono diminuite a vista d’occhio. Sono pochissime quelle che incrociamo e ancora meno quelle che troviamo di fronte a noi, mentre il paesaggio comincia lentamente a cambiare: passiamo dalle interminabili spiagge a veri e propri fiordi, insenature larghe poche centinaia di metri ma che si inerpicano verso il centro dell’isola anche di decine di chilometri. A metà di uno di questi decidiamo di fermarci a pranzo, in uno spiazzo sul ciglio della strada che offre panchine e tavolo da picnic con vista sul mare. Mangiamo in fretta il nostro burrito homemade, cercando di ripararci dietro l’auto dal vento che nel frattempo era aumentato e diventato più freddo.
    Rimessi in viaggio, convinco tutti a visitare una cascata in fondo al fiordo, verso il centro dell’isola. Eravamo in viaggio da tre ore, ci stava spezzare un po’ la noia da strada, benché il paesaggio fosse sempre incredibile. Ci arrampichiamo quindi per una strada verso nord, che subito si trasforma in sterrato e tornanti in salita. I monti del fiordo attorno a noi piano piano si riempiono di neve. Non ci rendiamo conto di superare la cascata e arriviamo fin sopra il passo immersi nel bianco assoluto. C’è neve dappertutto, le nuvole basse che corrono, comincia a piovere e intravediamo anche qualche fiocco di neve. Sembrava di essere in un’altra Islanda fino a dieci minuti prima.
    Ovviamente non prende più il telefono, l’unico modo è seguire il navigatore della macchina che, senza problemi, continua ad indicarci di andare dritti. Non eravamo solo spaventati di trovare blocchi per neve, o che le buche sul terreno accidentato potessero farci scoppiare una gomma in mezzo a quel nulla, ma pure a benzina non eravamo messi benissimo. Lo spettro di non trovare civiltà per un bel po’ ci attanaglia, eppure il navigatore della macchina continua a puntare avanti imperterrito.
    Finisce che però aveva ragione lui. Dopo un paio di chilometri la strada comincia a scendere, la neve si placa, riappare l’asfalto e di fronte a noi si staglia una vallata, con un lago ghiacciato nel mezzo e un grosso paese sul lato opposto, Egilsstaðir. Anche la rete del telefono riappare e scopriamo in realtà che, scavallando quel passo, abbiamo guadagnato quasi due ore di strada, altrimenti perse seguendo il perimetro naturale dei fiordi per arrivare nello stesso punto.
    Facciamo benzina e, mentre proseguiamo la strada verso la metà della sera, Seydisfjordur, discutiamo su cosa fare. Siamo due ore in anticipo rispetto alla tabella di marcia, arrivare a Seydisfjordur alle quattro del pomeriggio sarebbe significato concludere la giornata presto ma con l’amaro in bocca di non aver fatto nulla di “significativo” nella giornata. Così prendiamo una decisione, giriamo l’auto e ci rimettiamo in strada verso nord, in direzione di Borgarfjarðarhöfn. Qui, secondo le guide che avevamo letto, si sarebbe potuta trovare una colonia di puffin, le gabbianelle tipiche delle coste nordiche. Non era sicuro che li avremmo potuti vedere però: molte recensioni dicevano di non averne beccato neanche uno, perché le colonie si spostano stagionalmente e anche quando si sarebbero dovuti trovare lì, non era detto che ci sarebbero stati tutto il giorno. Ed era un’ora di strada buona per arrivare, più un’altra ora a tornare, il che significava comunque carburante che in Islanda non te lo regalano di certo. Ci siamo però detti che se non ci avessimo almeno provato, saremmo tornati a casa con il rimorso di aver sprecato un’occasione. La strada interna ad un certo punto svolta a destra, facciamo un altro passo ed eccoci di nuovo nella costa. Il cielo, che fino ad allora era stato sempre coperto, comincia ad aprirsi ogni tanto lasciando alcuni fasci di sole colpire i promontori e accendendo di giallo l’erba secca, appiattita dalla vecchia neve e dalle sferzate dell’oceano. Percorriamo gli ultimi chilometri con gli occhi puntati sulla baia, speranzosi di beccare stormi di volatili neri oppure, impossibile ma che figata altrimenti, gli sbuffi di una balena. Arriviamo al porticciolo di Borgarfjarðarhöfn, scendiamo dalla macchina e ci imbardiamo immediatamente. Il vento, unito all’umido del mare, rendeva l’aria gelata, tanto da resistere veramente pochi minuti all’aperto senza guanti. Io e lorenz scendiamo sulla banchina di rocce che protegge il porto dal mare, incuriositi da un folto gruppo di volatili neri appollaiati in acqua. Riceviamo però il messaggio di Paolino che, facendo il giro largo, era andato verso il porticciolo e ci diceva di correre per raggiungerlo. A fare da copertura al porto c’era un piccolo promontorio sull’acqua, interamente invaso dai puffin. Ce ne saranno stati almeno duemila, appollaiati sui cespugli di erba gialla, in piedi a fare la guardia o nascosti dentro dei piccoli buchi scavati nella terra. Uno spettacolo da togliere il fiato. Non sapevo se ero più soddisfatto di averli trovati malgrado le poche possibilità di successo, sbalordito dalla quantità incredibile di questi uccelli che popolava la collinetta o innamorato dei loro musetti colorati, come se fossero sempre tristi per qualcosa. Rimaniamo un quarto d’ora in silenzio, girandoci a destra e sinistra fotografandone a più non posso, cercando di attirarli schioccando la lingua ma al tempo stesso non disturbandoli troppo. Ad un certo punto il freddo ci attanaglia le mani e, a malincuore, ripieghiamo verso la macchina. Siamo contenti e soddisfatti, non era scontato trovarli e la perseveranza alla fine è stata premiata.
    Torniamo indietro a Egilsstaðir ripercorrendo la stessa strada, reimbocchiamo lo stesso passo a tornanti per scavallare la montagna e scendere nel fiordo di Seydisfjordur quando, non appena cominciamo la discesa, chiedo di fermarci.
    Non avevamo scelto di guidare così tante ore per arrivare così ad est a caso, soprattutto non avevo scelto Seydisfjordur a caso. Sulla strada a tornanti che discende il passo, dodici anni fa, hanno girato una delle scene più iconiche di uno dei miei film preferiti: “I sogni segreti di Walter Mitty”, quando Ben Stiller, nella corsa contro il tempo per raggiungere il fotografo avventuriero Sean O’Connell (interpretato meravigliosamente da Sean Penn) decide di affrontare le proprie paure e discendere i tornanti del fiordo su di un longboard. È stata per me, negli ultimi anni, la quintessenza della libertà: un singolo minuto di scena, ma con la luce giusta, i colori pazzeschi di un’Islanda estiva, le cascate, la musica evocativa da viaggio, la convinzione che abbiamo nel nostro bagaglio della vita tutto ciò che serve per sentirci liberi. Non era certo lo stesso periodo, il fiordo si presentava ancora pieno di neve, con le nuvole basse e il vento freddo, ma l’ho riconosciuta subito. Quella era la strada di Walter Mitty. Mi faccio fare una foto evocativa e poi ci lanciamo giù per i tornanti, con la stessa musica del film alla radio. È stato un momento poetico, indimenticabile.
    Arriviamo a Seydisfjordur e ci rendiamo conto di essere lontani da tutto ciò che potevamo aver visto finora in Islanda, che benché naturalisticamente straordinario, conservava sempre un non so che di turistico. Quel paesino di pescatori era puro, vero, con la stessa flemma che uno si aspetta da un villaggio di mare del nord. Facciamo un giro di ricognizione in macchina sul porto, per vedere la fabbrica di pesce (e nausearti dalla puzza), prima di arrivare all’alloggio, che scopriamo essere ricavato dal vecchio ufficio postale. Il posto è coccolo, con addirittura un salottino con vetrate sulla baia. Facciamo volare i droni per recuperare gli ultimi bellissimi raggi di sole del tramonto, mentre illuminano di arancione il fiordo innevato e immerso nelle nuvole. Ceniamo in un ristorantino (l’unico) del centro assieme a qualche altro viaggiatore (perché a quelle latitudini non si possono più chiamare turisti) meravigliandoci che a quelle latitudini hanno più proposte vegetariane dei nostri ristoranti in centro città.
    Prima di rintanarci a letto, facciamo due passi per il villaggio, ascoltando il silenzio fermo del fiordo, interrotto solo dalle urla di bambini del luogo che saltavano sopra un vecchio autobus malmesso. Era pur sempre il loro primo giorno d’estate.
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  • Si torna indietro

    April 26, 2024 in Iceland ⋅ ☀️ 7 °C

    Ci svegliamo di buon’ora. Il fiordo attorno a noi è illuminato piacevolmente dal sole, il cielo blu intenso, poche nuvole e la neve sulle montagne che scintilla. Sembra quasi un’altra stagione. Facciamo colazione nel salottino della nostra stanza con le immancabili fette di pane e marmellata, biscotti col cioccolato caffè solubile e latte vegetale del supermercato costoso.
    Seydisfjordur è il nostro giro di boa per questo viaggio. Siamo stati per tanto tempo tentati di fare il giro completo dell’isola in fase di pianificazione, ma abbiamo preferito dedicare questo viaggio a vedere bene tutto il sud, piuttosto che rinunciare a tante cose e fare più strada.
    Prima di rimetterci sui nostri passi, c’è una delle attrazioni più iconiche dell’Islanda non lontana da Seydisfjordur. Un po’ fastidiosa da inserire in un piano di viaggio sinceramente perché lontana dal resto delle cose da vedere, ma vogliamo darle una possibilità visto che eravamo nella zona e non avremmo più avuto poi tanto altro da visitare nella giornata. Facciamo così mezz’ora abbondante di strada verso nord ovest, puntando il centro dell’isola, seguendo le indicazioni per Stuðlagil. Questo non è altro che un piccolo canyon di basalto, scavato da un torrente appena dopo una modesta cascata, dove le rocce formano le iconiche colonne esagonali. È uno spettacolo e un mistero della natura, che attira solamente i fotografi e gli influencer più avventurosi, perché appunto non si raggiunge facilmente. Arriviamo dopo aver percorso una strada sterrata in mezzo alle radure piene di neve dell’entroterra islandese. Parcheggiamo in uno spiazzo super attrezzato con bagni e cartelli informativi per i turisti e già la cosa ci puzza. Dal parcheggio si scende una ripida scala di ferro che da su un abbaino, grande qualche metro quadrato, rivolto verso il fiume e dal quale si intravede il canyon. Rimaniamo abbastanza delusi, anche perché il tempo non è dei migliori e, oltre al freddo, ogni tanto si sente qualche goccia di pioggia. Intravediamo delle persone dall’altra sponda del fiume che riescono a scendere il canyon ed avvicinarsi alle colonne di basalto. Seguiamo con gli occhi il percorso che hanno fatto per scorgere più indietro un parcheggio e un ponte che attraversa il fiume. Valutiamo che ora che spostiamo la macchina, torniamo indietro, parcheggiamo e raggiungiamo a piedi il canyon, sarebbe passata più di un’ora, che non avevamo visto che sarebbe stata una giornata passata in macchina. Quindi liberiamo i droni per toglierci la soddisfazione di aver almeno delle riprese fighe di quel posto e ci rimettiamo in marcia, tornando indietro per la stessa strada sterrata. Facile a dirlo, si è fatta ora di pranzo. Un po’ stufi dei panini home made e, fatti due conti si spendeva uguale a mangiare fuori, optiamo per cercare qualcosa a Egilsstaðir. Paolino e Veronica, ormai collaudati ricercatori di ristoranti, ci portano nel paesino prima, in un posto talmente local che entriamo e veniamo adocchiati subito da tutti gli operai in pausa pranzo. Il posto è una sorta di mensa: paghi un forfettario e puoi ingolfarti a piacere. C’è un banco a buffet con riso, verdure, carne e pane fatto in casa con chili di burro sopra.
    Usciamo satolli e contenti di aver fatto un’esperienza più vicina all’Islanda di quello che sarebbe stato mangiare il solito burger in qualche catena. Ci mettiamo in marcia e decidiamo di percorrere la strada lungo i fiordi, quella che il giorno prima abbiamo saltato inconsciamente facendo il passo innevato. Il paesaggio è magnifico, intervallato da montagne innevate che si tuffano sul mare blu scuro. Il vento dell’oceano oltretutto spinge le nuvole creando nel cielo dei dischi stranissimi, simili ad astronavi. Corriamo così per tre ore, alternando momenti di musica e chiacchiere a quarti d’ora silenziosi, appisolandoci o guardando semplicemente fuori dal finestrino il paesaggio che da fiordico tornava pian piano alle grandi spiagge piatte o gli infiniti delta dei ghiacciai. Arriviamo a Hofn al calar del sole, ci rifugiamo dal vento freddissimo in albergo: una struttura in cemento stretta e lunga, dove ogni camera ha una vetrata enorme per vedere fuori ma con gli interni anche troppo minimal per i nostri gusti. Ci facciamo una doccia ed usciamo a cena nel centro di Hofn. Paolino e Veronica scelgono il ristorante di un albergo sul porto. Mangiamo burger vegetariani e patatine nere con la salsa senza troppi complimenti, siamo stanchi dal viaggio lungo e ci rintaniamo in camera quasi subito, non prima di aver bevuto una tisana calda in reception assieme ad un gruppo di giapponesi poco vestiti e molto chiassosi.
    Niente veglia per l’aurora. È nuvoloso, ma soprattutto domani ci si sveglia prima dell’alba.
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  • Ghiaccio

    April 27, 2024 in Iceland ⋅ 🌬 9 °C

    Sveglia alle 5:30, in macchina alle 6:00. Senza colazione, assonnati e immersi nel freddo. Guidiamo per circa un'ora verso ovest, ripercorrendo la stessa strada dell'andata, incrociando solamente anatre in volo e cavalli. Siamo soli, nel silenzio del crepuscolo mattutino islandese. Anche se la mattina non è particolarmente limpida, il paesaggio è sempre immenso e suggestivo: attraversiamo gli enormi delta del Vatnajokull stupendoci ancora una volta della sua grandezza. Ad un certo punto scorgiamo sulla destra la baia del Jökulsárlón: una distesa di iceberg che si stagliano dalla lingua del ghiacciaio fino ad un canale stretto che si getta direttamente sul mare, ed un ponte di ferro per attraversarlo. Svoltiamo a sinistra e parcheggiamo nel piazzale appena sotto. Paghiamo subito il parcheggio con l'applicazione e smontiamo nel freddo, camminando velocemente verso il mare. Entriamo così nella Diamond Beach, una spiaggia nera famosa per i blocchi di ghiaccio che, una volta staccatisi dagli iceberg e percorso lo stretto canale verso il mare, vengono poi spinti indietro dalle onde per arenarsi pacifici sulla spiaggia di sabbia nera. Lo spettacolo è incredibile e affascinante. Scattiamo centinaia di foto, avvicinandoci sempre di più al bagnasciuga e scappando dalle onde gelide. Il sole ad un certo punto ha fatto addirittura capolino dando un senso ancora più di vita a questi pezzi di acqua ghiacciata che pigramente si lasciano attraversare, spingere e ribaltare dalle onde impetuose dell'oceano. Scorgiamo anche le foche, che in mare e nel canale ogni tanto tirano fuori la testa dall'acqua per osservare tre poveri scemi (Lorenz era impegnato a fare le lunghe esposizioni) che si sbracciano fischiando e cercando di richiamarle.
    Il freddo alla lunga si fa sentire. Così mentre noi tre ci rintaniamo in macchina a fare colazione con il caffè sapientemente preparato in borraccia, Lorenz risale il canale a piedi, passando sotto il ponte di ferro, andando verso la baia. Non resisto e mi precipito a seguirlo. Di fronte a me uno degli spettacoli che mai dimenticherò nella vita: enormi iceberg di un azzurro cangiante che si muovono lenti, cullati e trasportati dalla corrente della baia verso il mare. Le foche che ogni tanto fanno capolino e nuotano nell'acqua gelida contente. I gabbiani che sorvolano l'area scrutando il fondo in attesa di pesce. Il tutto racchiuso in un silenzio glaciale: il cielo grigio coperto di nuvole permetteva alla luce di arrivare fioca morbida, senza creare ombre nel ghiaccio. Un quadro di vita che non ho mai visto da nessun'altra parte.
    Eravamo noi e pochi altri temerari del mattino a vedere quella meraviglia. Non c'erano turisti. Un momento perfetto. Facciamo volare i droni sopra la baia e poi, al limite di sopportazione del freddo, ci rintaniamo di nuovo in macchina.
    Soddisfatti dello spettacolo valso la levataccia, finiamo la colazione al sacco e ripartiamo verso ovest. Pochi chilometri dopo propongo una piccola camminata per provare a visitare un posto visto su instagram ma mai segnato dalle guide. Giriamo così a destra in una strada sterrata che ci porta vicini ad un altro letto del fiume glaciale, che si interrompe all'improvviso e si trasforma in un sentiero che si arrampica per il promontorio e sparisce sotto la montagna. Ci imbardiamo di nuovo con giacche e antivento e cominciamo a risalire il sentiero, spinti da raffiche gelide talmente forti da tenerci in piedi anche abbandonandoci di peso verso il basso. Metro dopo metro, il paesaggio dietro di noi si fa sempre più bello, mentre il sentiero comincia a risalire il costone di un canyon. Arriviamo a scorgere una cascata e, spostandoci per fotografarla meglio, intravedo finalmente il canyon che avevo sognato: Mulagljufur. La roccia nera spaccata, ricoperta di erba verde smeraldo, gabbiani che si lanciano nel vento, un torrente che scorre nel fondo e, alla fine di tutto, una cascata imponente sotto la punta di una montagna innevata. Non mi fido a lanciare il drone, è troppo piccolo e il vento lo avrebbe spinto tra le rocce, ma Lorenz invece non si fa ripetere la cosa due volte e fa volare il suo in mezzo al canyon. Comincia addirittura a nevicare, recuperiamo il drone e ridiscendiamo il promontorio, appena in tempo prima che venisse assalito dai primi turisti coreani in sneakers della giornata.
    Ci rimettiamo in viaggio verso Vik, mentre il sole comincia a comparire nel cielo del mattino islandese, le nuvole si diradano, l'aria si scalda e la strada comincia a riempirsi di turisti diretti verso diamond beach o la spiaggia nera. Ci fermiamo a Vik a pranzare a base di pad thai in un ristorantino thailandese sulla strada mentre il Lorenz disgustato si sfonda di pizza con la pasta nera in un locale bellissimo accanto. Faccio estrema fatica a ritornare alla realtà iper turistica islandese, dopo aver toccato con mano la solitudine e la bellezza della zona dei fiordi, quasi desiderando di saltare l'ultima parte del viaggio e tornare a casa diretti, per conservare il ricordo dell'Islanda autentica che mi si era impresso nella mente. Ma sapevo anche che ci eravamo preparati a questa evenienza, dedicando gli ultimi due giorni di viaggio ad un approccio più relax ed esclusivo della vacanza, come già ci era capitato in Vietnam sulle spiagge di Phu Quok.
    E l'esclusività arriva appena sopra Selfoss, dove abbiamo prenotato una notte speciale in una tenda a cupola. Se dapprima un pò scettici perchè queste grosse cupole di nylon davano su un prato adibito a campeggio, ci sorprendiamo subito dalla cura del loro interno, con cucina moderna, stufette, un letto matrimoniale e uno sopra la struttura centrale in legno scuro. Con bottiglia di vino offerta. Facciamo due passi in esplorazione della zona, per vedere il lago che indicava la mappa appena sopra di noi, ma rimaniamo delusi della vista e ci infanghiamo come mai in tutta la vacanza. Ricordo che abbiamo passato la serata con vino, ciaccole e ultima pasta al pesto, prima di addormentarmi di piombo appena appoggiata la testa sul cuscino del letto.
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  • Reykjavik

    April 28, 2024 in Iceland ⋅ ⛅ 10 °C

    Ci svegliamo nella tenda/cupola dopo una notte di caldi/freddi. Se all'inizio della serata si moriva per la stufa a legna, il nylon e la struttura del cabin non permetteva molto l'isolamento, finendo per congelarci.
    Facciamo colazione con calma, cercando di finire tutto ciò che ci eravamo portati via durante le tappe del viaggio perchè da lì in avanti non avremmo più avuto bisogno di mangiare al sacco. Carichiamo di nuovo le valigie in macchina e ci mettiamo in strada per Reykjavik, che si presenta come una normale capitale europea. Traffico, mezzi, camion. Il tutto però apparentemente più "pulito" di una normale capitale. Sarà per il cielo terso, sarà per il vento che spazza via l'inquinamento, ma la sensazione che abbiamo nonappena arriviamo in centro sia di una città estremamente nuova. Le case belle, pulite, marciapiedi e semafori, pedoni e macchine elettriche dovunque. Parcheggiamo dietro la cattedrale e discendiamo la strada pedonale principale che porta verso il centro portuale. Rimaniamo un pò delusi dalla quantità di negozi di souvenir, quasi uno ogni due edifici. Reykjavik si è proprio trasformata in funzione del turismo. Si avvicina l'ora di pranzo e dopo aver assaggiato la tipica Kleina e altre paste ad un panificio, ci rilassiamo con burger vegetariani seduti fuori al caldo del sole. Riprendiamo l'auto e ci spostiamo leggermente fuori del primo centro in albergo, un edificio in completa ristrutturazione ma con camere discrete e pulite. Alle tre del pomeriggio scendiamo di nuovo, riprendiamo la macchina e usciamo ancora dalla città per andare ad immergerci nella Sky Lagoon: ci rilassiamo così per tre ore a mollo di questa enorme piscina d'acqua calda, provando le esperienze di depurazione con la sauna, bevendo birre a mollo e sognando il prossimo viaggio insieme. Alla sera torniamo in centro a Reykjavik e ceniamo in una food court, mangiando pad thai, burger e patatine. Nel rientrare alla macchina infine veniamo attirati da della musica e ci infiliamo in quella che era propriamente una biblioteca ma che ogni sera dava concerti rock. Ci sgoliamo cantando i Queen e Beatles nella nostra ultima serata islandese.
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  • La Ring Road

    April 29, 2024 in Iceland ⋅ ☁️ 9 °C

    Avendo capito già prima di partire che tutto ciò che poteva trovarsi nel raggio di due ore di macchina da Reykjavik sarebbe stato un mercato di turisti, abbiamo deciso di tenerci la famosa Ring Road per ultima, nell'ultima mattina prima di lasciare l'Islanda.
    Facciamo un'abbondante colazione in albergo e, con tutta calma, ci mettiamo di nuovo in strada in direzione nord. Usciamo dalla città e ripercorriamo parte della strada che avevamo fatto il giorno prima per andare alle cupole. La ring road è di fatto una strada circolare, che attraversa un parco enorme nell'entroterra islandese fatto principalmente di steppa e arbusti bassi. Dopo aver visto però le meraviglie delle coste e dei fiordi, il nulla giallo e brullo dell'entroterra non ci entusiasma poi così tanto. Dopo aver superato diversi pullman carichi di turisti, ci fermiamo alla prima attrazione: i geyser. Dapprima scettici di aver preso una cantonata acchiappa-turisti, rimaniamo sorpresi e divertiti da questi getti di acqua e vapore che dal nulla, senza un ritmo preciso e senza tanto preannunciarsi, esplodono per parecchi metri verso l'alto da pozze che profumano di uova marce. Aspettiamo di scattare un paio di foto ai geyser e scappiamo subito, prima di beccare altre orde di francesi e coreani. Proseguiamo sulla ring road assolata praticamente in silenzio. Da un lato il fatto che, dopo una settimana a stretto contatto, gli argomenti di chiacchiera hanno finito per esaurirsi, dall'altro c'è la stanchezza di un viaggio pieno di viste meravigliose ma pur sempre una sfaticata notevole.
    Arriviamo quindi all'ultima vera visita del viaggio: le cascate di Gullfoss. Fortunatamente, il vapore gelido e la vista di questa cascata imponente ci riportano in qua, giusto per vivere una degna conclusione dell'avventura. Ci facciamo largo tra un bel pò di turisti per fotografare la potenza percepibile delle tonnellate d'acqua che ogni secondo si rovesciavano nel canyon, sprigionando un rumore assordante e bellissimo.
    Soddisfatti, ci rimettiamo in macchina e percorriamo l'ultima parte della ring road, per re-immerterci nella strada principale verso Reykjavik.
    Pit stop pranzo in una food court affascinante con annesso caffè e torta al cioccolato in una bellissima casetta ristrutturata a bar e poi dritti in aeroporto.

    Riconsegniamo l'auto, imbarchiamo le valigie senza problemi e controlli. Spicchiamo il volo alle sette di sera, lasciandoci dietro l'Islanda illuminata al tramonto, gialla, impervia, desolata, bellissima.

    Atterriamo a Milano all'una di notte, prendiamo i bagagli, l'auto di Lorenz e ci rintaniamo in un'albergo appena fuori Busto Arsizio, bestemmiando per le lente procedure di check-in alle due e mezza di notte quando per una settimana in Islanda non abbiamo avuto neanche un problema.
    Ci risvegliamo la mattina dopo assonnati. Lorenz e Veronica ci accompagnano ad una stazione della metro di Milano e ritornano a casa. Noi prendiamo un treno per la Liguria per fare riprese all'inaugurazione di una mostra.

    Scrivo questo diario quasi tre mesi dopo essere tornati dall'Islanda, con i ricordi ancora indelebili di una terra che ci ha dato molto in pochissimo tempo. Una terra infinitamente più grande delle mie aspettative e per questo che nutre in me una voglia ancora più forte di tornarci presto per esplorarne altre parti. Dopo anni di viaggi nei deserti americani ero abituato al nulla, alle terre sconfinate senza interventi visibili dell'uomo: l'Islanda mi ha ricordato tutto quello, ma con qualcosa in più. Una terra desolata ma ricolma di vita, nella sua forma più ancestrale, raccontata e racchiusa nell'acqua che scorre e cade violenta dalle cascate ma è anche ferma e paziente nel ghiaccio.

    Un'altra volta più consapevole che questo è il tipo di viaggio che vorrò sempre perseguire nella vita. Un'altra volta più grato di aver trovato le persone perfette per condividere la meraviglia e lo stupore di questa continua scoperta.
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