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- Dag 1
- donderdag 8 augustus 2024
- ⛅ 32 °C
- Hoogte: 57 m
JapanKabukicho35°41’38” N 139°42’12” E
Primo caldo

Ci svegliamo alle 6:30. Le piante sono annaffiate e ammassate in cucina: non dovrebbero soffrire troppo senza acqua per due settimane. Chiudiamo le valigie e scendiamo: mio papà ci aspetta in macchina per portarci in aeroporto.
Oggi affronteremo un volo lungo che ci porterà di nuovo a est, questa volta in Giappone, questa volta da soli. Sempre affascinati da quel mondo lontano, abbiamo deciso all’ultimo di fare la pazzia e prendere due (costosi) biglietti per Tokyo. Abbiamo studiato per giorni l’itinerario, prenotato gli alberghi, i trasporti. L’unica cosa che ci siamo lasciati all’oscuro è proprio il cosa faremo ogni giorno, non avendo idea delle condizioni che avremmo potuto trovare.
L’aeroporto di Venezia alle otto del mattino è affollato, come giusto che sia i primi di agosto. Portiamo i bagagli al check in e già affrontiamo la prima ansia: non avendo fatto il check in online il giorno precedente (mai fatto in tutti i viaggi in America) siamo stati messi in attesa, perché il volo era in overbooking. Già parte il terrore di non arrivare in tempo per lo scalo a Monaco, di saltare chissà quanti giorni di viaggio. Inermi e infastiditi, ci portiamo vicino al gate, sperando di incrociare gli sguardi delle hostess e avere novità. Il gate apre per imbarcare: mi fiondo al banco speranzoso e si, c’è posto in aereo, ma avremmo dovuto soffrire di nuovo anche allo scalo a Monaco, perché anche il volo per Tokyo sarebbe stato in overbooking.
Decolliamo e riatterriamo in meno di un’ora. Dopo un donut e un caffè per tirarci su di morale, ci ripiazziamo di fronte al gate sperando nello sguardo delle hostess. Cominciano ad imbarcare di nuovo, di nuovo ci presentiamo speranzosi al banco e di nuovo veniamo graziati con i nostri biglietti. Ci imbarchiamo più leggeri e affrontiamo 12 ore di volo interminabili. Guardiamo film, proviamo a dormire, mangiamo quello che per Paolo è il migliore pasto aereo mai provato.
Atterriamo a Tokyo alle otto del mattino. Recuperiamo fortunatamente anche i bagagli e ci infiliamo subito sulla monorotaia per il centro passando per la prima volta sul lettore la nostra Suica, la carta dei trasporti ricaricabile direttamente sul telefono.
Tokyo si presenta nuvolosa, ma il caldo che percepiamo tra una fermata e l’altra della metropolitana non ci spaventa ancora tanto. Scendiamo alla fermata di Akasaka ed entriamo finalmente nell’immaginario del Giappone: profumo di noodles costante, insegne luminose ovunque, palazzi stretti, auto ancora più strette, persone che camminano silenziose. Molliamo le valigie in albergo, facendoci confermare che sarebbe stato possibile entrare in stanza solo dopo le due del pomeriggio, riempiamo le borracce di acqua e sali minerali ed usciamo in esplorazione.
Non abbiamo mete precise, se non la voglia di catturare ogni singolo centimetro di quello che c’era attorno a noi: un tipico sobborgo urbano giapponese. La cosa che però in assoluto bisognava subito fare era provare i pasti pronti dei combini, i micro supermercati sparsi dovunque: prendiamo tre onigiri, di cui uno scopro essere al pesce. Camminiamo un po’ a caso, puntando al santuario di Meiji Jingu e pian piano le nostre energie cominciano a calare. Iniziamo a soffrire l’afa di Tokyo: un caldo insostenibile che ci fa sudare e bagnare le magliette passo dopo passo. Arriviamo a fatica nel parco di Meiji Jingu e troviamo un po’ di refrigerio sotto gli alberi maestosi, circondati dal ronzio assordante di milioni di cicale. Arriviamo al tempio assieme ad almeno duecento turisti: gli shintoisti che risalgono le scale del tempio fino all’entrata, gettano una monetina in un grande contenitore, si inchinano, battono tre volte le mani e pregano, e tutti gli altri che affollano l’albero delle preghiere dove scrivi un pensiero su di una tavoletta di legno e lo appendi e le cassette delle profezie dove per 100yen puoi estrarre un numero e prendere un foglietto dal cassetto corrispondente. Investiamo una moneta da 500 yen ma becchiamo due profezie non proprio fortunate. A saperlo, avremmo dovuto legarle ad una staccionata accanto, ma invece ce le portiamo via. Chissà magari sarà un segno.
È appena mezzogiorno e già siamo sfiniti. Arriviamo da troppe ore di volo, forse due o tre di sonno e ad aggiungersi al caldo afoso ci si mette anche la fame.
Fortuna che Paolo si è segnato un sacco di ristoranti vegetariani in giro per Tokyo: troviamo il più vicino scoprendo essere in realtà il banco all’interno di una food square. Dentro, l’aria condizionata è a palla: con le magliette completamente sudate restiamo giusto il tempo di mangiare un piatto al volo e ci ricacciamo fuori al caldo prima di congelarci.
La voglia di camminare comincia a mancare, ci trasciniamo nel parco di Shinjuku sperando che il tempo passi veloce. Scopriamo con sorpresa che il parco ha un bellissimo giardino giapponese, con l’erba tagliata fina, il laghetto e i salici. Passiamo dall’ombra di un albero all’altra e visitiamo pure la piccola serra del parco. Si fanno le due: prendiamo così al volo la metro e ci ficchiamo in camera per poterci fare finalmente una doccia e riposare.
Dormiamo due ore, giusto il tempo per ricaricarci senza rimanere schiavi del jet lag. Usciamo dall’albergo e decidiamo di tornare verso Shinjuku. Nel frattempo il sole è tramontato e, quando risaliamo dalla metropolitana, veniamo abbagliati dallo spettacolo di luci della Tokyo notturna. Centinaia di insegne luminose si arrampicano sulle pareti di palazzi e grattacieli. Schermi led giganti ad ogni angolo con pubblicità improbabili e un gatto gigante che canta. Centinaia di persone che si riversano sugli incroci, attraversando le strade sulle strisce come fiumi umani. Ci perdiamo per le strade di Shinjuku, scoprendo le viette del Golden Gai piene di bar grandi due metri, appena il posto per un banco e tre sedie ciascuno. Così è anche Omoide Yokocho, piena di ristorantini da pochi posti, immersa nel fumo della carne cotta alla griglia al momento. Ci incontriamo con Marco e Valentina, due ragazzi di H-Farm che conoscevo quando lavoravo a BigRock. Assieme ci spostiamo in un ristorante famoso per gli Okonomayaki, delle specie di frittate con dentro di tutto: mai mangiata una frittata vegetariana così buona. Concludiamo la serata in un baretto nel Golden Gai, trovato per caso salendo una scala a pioli strettissima. Beviamo sake freddo e ci facciamo consigliare dai ragazzi cosa fare nei giorni successivi, visto che erano arrivati alla fine del loro viaggio e avevano tenuto Tokyo come meta finale.
Ormai sfiniti, torniamo in metro ad Akasaka, ci facciamo una seconda doccia e sfiniamo a letto.Meer informatie