• Videogiochi

    August 9, 2024 in Japan ⋅ ☀️ 34 °C

    Ci svegliamo con relativa calma, il cielo si è un po’ aperto e il sole è già bello alto (e caldo) su Tokyo.
    Tra i posti assolutamente consigliati dai mille video e recensioni che ci siamo sorbiti prima di partire, c’era un posto che sicuramente non poteva essere saltato: il quartiere di Akihabara e la sua electric town. Un quartiere intero in cui si riversa l’intera nerdaggine del mondo: file di palazzi (di almeno 8/9 piani) completamente ricolmi di cabinati, negozi di videogiochi ma soprattutto tante, tantissime action figures. Se uno è appena appassionato di manga e modellismo, beh quel posto è sicuramente la sua rovina. Ci spulciamo tre/quattro palazzi giusto per comprendere (senza giudicare) la passione morbosa che hanno i giapponesi (tutti, non c’era distinzione di età o sesso) per le statuine dei personaggi manga, per le carte collezionabili, per i videogiochi di qualsiasi console. Per non parlare di edifici interi adibiti a sale giochi dove per vari piani trovi solo macchinine a premi, poi se vai di sopra invece le stanze sono riempite di qualsiasi tipo di gioco. Corse, combattimento, ma sopratutto musicali. A volte faceva quasi tristezza vedere persone adulte, anche vecchie, giocare da ore a giochetti considerati da ragazzini. Mi ha ricordato tanto le slot di Las Vegas, con i fantasmi dei vecchi lobotomizzati dalle luci e dai suoni delle macchinette.

    Eravamo arrivati ad Akihabara in realtà per cercare un posto in particolare, una sorta di mecca per gli appassionati di giochi retro.
    Scoviamo l’insegna del Super Potato accanto ad una porta anonima, incastrata tra due palazzine. Percorriamo un corridoio buio e stretto, saliamo delle scale vecchie, incerti di cosa avremmo trovato al primo piano. E invece ci si apre una stanza con scaffali pieni di cassette di vecchi videogiochi, console Nintendo retró, pupazzi e merchandising di super Mario. Passiamo una mezz’ora buona ad ammirare quello che per un appassionato gamer, collezionista di merchandising e con tanti soldi sarebbe stato il paese dei balocchi. Il super potato ha anche altri due piani superiori e un “attico” sporco e dal soffitto basso dedicato ai vecchi cabinati.

    Arriva l’ora di pranzo e dalla lista di Paolo manca ancora una cosa da smarcare: trovare una sala giochi che esponesse i cabinati di Mario Kart.
    Prima però ci fermiamo in un ristorantino vegano vicino alla fermata della metro, mangiando polpette di soia disidratata, miso e broccoletti con salsa all’uovo.

    Ricominciamo la caccia al Mario Kart senza successo. Decidiamo allora di spostarci verso nord con la metro nella zona di Ueno. Giriamo un po’ senza meta per le bancarelle di Ameyoko quando, all’ennesimo tentativo in un Taito building, finalmente troviamo i cabinati di Mario Kart. Facciamo due partite, Paolo ora è soddisfatto. Giriamo a zonzo per il parco di Ueno, riposandoci sotto gli alberi e scattando foto ad un piccolo e grazioso tempio.
    Siamo un po’ stanchi di camminare e il caldo ha ricominciato ad essere veramente pesante. Tiriamo fino ai templi di Asakusa, pieni di turisti che si fermano ad ogni negozietto che vende souvenir e cibo. Fortunatamente, il tempio di Senso-Ji e la pagoda gigante sono bellissimi e ripagano la fatica e il casino della folla. Siamo ormai stremati, ci trasciniamo così in metro fino all’albergo per la prima doccia del giorno e ricaricare le batterie.

    Quando sono le sette riusciamo e ci spostiamo nel quartiere di Shibuya, dove per la serata avevamo prenotato un ristorante di sushi vegano.
    Il posto è veramente magico: al quattordicesimo piano con la vista sulla skyline, design minimale e il personale è talmente gentile e preciso che ogni volta che entra o esce un cliente salutano tutti in coro, chef compresi.
    Il cibo invece insomma: avevamo ordinato due menù fissi pensando di mangiare veramente molto sushi, invece sono arrivate verdure senza tanti complimenti e sei nigiri in croce con funghi o erbette sopra il riso. La sensazione è stata un po’ di fare un dispetto agli chef non volendo mangiare il pesce, perciò hanno fatto il minimo indispensabile. Usciamo comunque soddisfatti dell’esperienza.

    Facciamo due passi per Shibuya, andiamo a vedere il famoso incrocio pieno di passanti, facciamo la foto dalla statua del cane Hachiko e, prima di tornare in albergo, ci concediamo un’ultimo giro a Mario Kart, trovato per caso in un altro Taito lì vicino.
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