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  • Giorno 38

    Rituale indigeno

    28 settembre 2022, Guatemala ⋅ ⛅ 24 °C

    Mercoledì sveglia alle 4 di mattina e partenza per una comunità un po' dispersa in mezzo alle "montagne". Dovevamo arrivare prima dell'alba, momento in cui sarebbe iniziato un rito indigeno propiziatorio per cercare di usare la nostra energia per non alterare quella della natura che ci ospitava. Dovevamo piantare nuovi alberi ma, in queste comunità, prima di modificare l'ambiente circostante è sempre bene assicurarsi di non stare alterando anche qualche equilibrio energetico. Arriviamo dopo aver percorso stradine sterrate impraticabili senza un pick-up o senza la doppia trazione. Mi accolgono con sguardi di stupore. Non credo si aspettassero un bianco a presenziare la cerimonia ma mi accettano nel cerchio e mi consegnano delle candeline colorate. La guida spirituale inizia il rito spiegando in lingua indigena cosa si farà. La prima tappa è l'accensione del fuoco che resterà poi acceso mentre si susseguono diverse volte riti ripetitivi: versare acqua e cacao nel fuoco, versare alcol, "benedire" gli anziani del villaggio, sputare acqua (letteralmente) addosso ai rappresentanti degli ospiti (tra cui il mio collega), versare semi di sesamo nel fuoco, lanciarci dentro piccoli sassi, e di tanto in tanto imprimere di energia una o più candeline e gettarle a loro volta nel fuoco. Il rito dura circa un'ora o un'ora e mezza e finisce con una tazza di cioccolato caldo per tutti e una bevande super alcolica ottenuta dalla fermentazione di mais e cacao. Non mi fido a bere nessuna delle due viste le recenti intossicazioni, più che altro perché le tazze in cui le servivano sembrava non le lavassero mai. Me ne pento ovviamente ma ho ancora il terrore di stare nuovamente male. La giornata continua con consegna di magliette, discorsi, balli con lo sfondo musicale della marimba ed infine con il momento della consegna degli alberi da piantare. Alcuni li piantiamo subito immergendoci nella foresta che circonda la comunità. Una foresta verde e rigogliosa in cui però si vede l'impronta umana: tra gli alberi spuntano piante di caffè, di mais e di cardamomo. Per non parlare di confezioni di plastica o di alluminio di snack e bevande abbandonate a terra nel corso degli anni. Comunque sia è uno spettacolo per gli occhi. Le persone qui sono state davvero accoglienti, venivano spesso a parlarmi, a chiedermi da dove venissi, a raccontarmi della loro comunità e ad offrirmi dei mandarini. Probabilmente pensavano che fossi il benefattore degli alberi e delle magliette, quando in realtà non centravo nulla, ero un semplice spettatore.
    È stata una mattinata densa di emozioni, di energie forti e di sorrisi. Felice di aver avuto l'occasione di conoscere così da vicino la vita di queste persone.

    Nota a margine. Ogni comunità lungo la strada aveva una chiesa, cattolica o protestante o evangelica o altro di a me sconosciuto. Appena sono arrivato infatti pensavano fossi un sacerdote. Qui a quanto pare è normale che si spingano persone di fede per cercare di portare il loro credo tra queste montagne a scapito della cultura e delle credenze che gli anziani portano avanti, molti dei quali vengono poi perseguitati e alcune guide spirituali anche uccise. Le religioni "occidentali" monoteiste vengono qui portando spesso denaro in cambio proselitismo. Non dico sia un male assoluto ma la globalizzazione, anche spirituale, porterà alla perdita di riti e credenze che spesso hanno come principio di base il rispetto della natura. I popoli indigeni Q'eqchi' credono di essere un tutt'uno con la madre terra e dispregiarla significa mancare di rispetto alle loro stesse anime. Non appena questo verrà soppiantato da altre credenze con l'arrivo degli occidentali, le loro terre verrano quasi inevitabilmente convertire a serbatoi di risorse da usare ed esportare, come è già successo in altre comunità. È un'altra storia di colonialismo mascherato, l'ennesima evidenza che il modello capitalista occidentale ha il potere di imporsi, con la scusa di togliere le persone dalla povertà e dalla "vita barbarica", anche nelle comunità più remote. A volte fortunatamente si sviluppa un certo sincretismo religioso e si vedono persone partecipare a riti indigeni mente portare collane con croci cristiane o borse con scritto "Gesù è il buon cammino". Questo tipo di comunione di fedi è già più sano e auspicabile. Non far perdere l'identità a queste comunità è fondamentale, lo ripeto, perché non perdano il contatto con le loro terre e con la protezione che garantiscono alla natura che le circonda. Sono la prima linea nella lotta alla degradazione ambientale e per la conservazione delle risorse naturali. Non servono aree protette qui, servono più diritti per i popoli indigeni.

    (scusa mamma lo so scrivo sempre tanto ma quando inizio poi non mi fermo più e devo lasciare uscire questi pensieri)
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