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- Hari 3
- Sabtu, 10 Ogos 2024 9:51 PG
- ☁️ 31 °C
- Altitud: 46 m
JepunUdagawachō35°39’49” N 139°41’52” E
Shopping

Arriviamo di buon ora a Shibuya. L’obiettivo della giornata è semplice: acquisti. Veniamo attratti subito dai cartelli colorati di un megastore chiamato Don Juan con un pinguino blu come mascotte. Dentro scopriamo il vero paradiso delle cinesate: nove piani di cianfrusaglie, articoli per il bagno e la casa, gadget, giochi ma soprattutto souvenir. Come avevamo fatto gli scorsi giorni, non resistiamo alla necessità di passarci al setaccio ogni piano, con l’ansia di perderci qualche oggetto assurdo e irrinunciabile da portare a casa come regalo. Ne usciamo quasi indenni, ma avremmo comprato veramente di tutto.
La seconda tappa a shibuya è un altro must have per Paolo. Lo troviamo al quinto piano di un centro commerciale nuovo di pacca, seguendo la folla in coda agli ascensori. Il negozio Nintendo. Ci facciamo largo tra un mare di appassionati, completamente lobotomizzati dalla foga di avere qualsiasi gadget possibile immaginabile dei loro beniamini dei videogiochi. Mentre Paolo da fondo al suo budget, mi sorbo venti minuti in coda per prendergli un portachiavi edizione limitata da una macchina per le palline.
Usciamo dal centro commerciale e non facciamo neanche cinquanta metri che rientriamo subito in un negozio Muji di cinque piani. Compriamo vestiti e stupidate che a casa ci sarebbero costate il doppio. A differenza degli altri giorni, oggi il caldo è sempre tanto ma c’è un po’ di vento, che rende stare fuori più sostenibile. Saliamo verso il quartiere di Harajuku, consigliatoci come il quartiere retail, pieno di negozietti di moda. Cose bellissime, ma costose. Ci ripromettiamo di tornarci la prossima volta con molto più budget. Beviamo una coca cola speziata da Yoshi Cola e risaliamo Harajuku in cerca di cibo, infilandoci nell’ennesimo centro commerciale e trovando dei falafel con topping di carne vegetale e una terrazza con la vista sull’incrocio principale, attraversato da centinaia di persone ogni minuto.
Ci perdiamo tra le viette di Harajuku, scoprendo ad ogni angolo negozi di marche sconosciute grandi solo qualche metro quadrato ed entriamo infine a Takeshita Street. È sabato, l’inizio della festa della montagna in Giappone (ergo, weekend lungo, ergo vacanze) e la strada è letteralmente invasa di gente. Ci si muove venti centimetri al minuto, sgomitando tra ragazzine impazzite per portachiavi fuffosi di criceti, persone di tutte le età invasate per le action figures dei manga ma soprattutto turisti indemoniati a caccia dell’ennesimo souvenir. Il tutto intervallato da puppy bar dive, pagando una bella somma, puoi bere il caffè abbracciando gatti, cani, maialini e perfino lontre.
Rintronati dal caldo e la confusione, scappiamo da Takeshita street, prendiamo l’ennesima metro per l’albergo. Lasciamo in camera zaini e acquisti della giornata, ci laviamo e cambiamo e ripartiamo subito.
Sono le sei: il sole in Giappone tramonta presto, e voglio vedere se si riesce a fare una bella foto al tramonto sulla Tokyo tower dalle colline di Roppongi, ma veniamo delusi dalle nuvole che nel frattempo si sono formate in cielo, la vista non proprio spettacolare sulla città e le decine di ragazzine che si fanno i selfie sulle statue di Doraemon in giro per la piazza.
Rientriamo subito in metro e attraversiamo la città in direzione Asakusa. Avevamo letto prima di partire che oggi, essendo festa, ci sarebbe stata una cerimonia particolare con le lanterne di carta sul fiume Sumida.
Arriviamo giusto in tempo per vedere già centinaia di turisti ammassati sulla banchina alta del fiume a fotografare le lanterne accese sull’acqua.
Cerchiamo invano un punto di accesso alla riva ma più andiamo avanti, più le speranze si assottigliano finché non incappiamo in un ragazzo dell’organizzazione che, in giappo-inglese, dice di proseguire ancora per la riva.
Troviamo l’accesso, dove già c’erano decine di persone in coda ordinata che aspettavano in proprio turno per entrare. Decidiamo di risalire la coda per venti, cinquanta, cento, duecento metri. Non finiva più, anzi, faceva una curva e ritornava indietro per altri duecento metri. Non sapendo che altro fare, mi metto in coda anche io, mentre Paolo va in giro in cerca di un combini per comprare del cibo. La fila è anche sostenuta, ci si sposta velocemente ma sembra comunque una cosa infinita. Inoltre ogni coppia o gruppetto di persone che vedo attorno ha in mano la stessa lanterna di cartone gialla: mi prende l’ansia che, dopo tutta quella coda, non ci facciano neanche entrare perché sprovvisti di lanterne. In un’altra circostanza avrei desistito subito. Odio le file e passare un’ora senza la certezza di sapere se saremmo riusciti a vedere qualcosa sulla riva del fiume prima che finisse tutto mi infastidiva. Ma guardandoci attorno abbiamo notato che chiunque in fila era paziente e calmo, felice e scherzoso. Non c’era nessuno in ansia, che spingeva, che protestava. Così mi sono calmato, abbiamo aperto le lattine birra che intanto Paolo aveva trovato e, pazienti, abbiamo camminato in fila fino all’entrata della banchina. Nessuno ci ha detto nulla. Scendiamo sulla riva e lo spettacolo è incredibile: decine di lanterne che galleggiano sull’acqua nera del fiume, con i riflessi della città e del gigantesco skytree di sfondo.
Più avanti era stato creata una struttura a scivolo dove una ventina di ragazze dell’organizzazione prendeva le lanterne della gente, le accendeva e le faceva scivolare fino al fiume, mentre gli altoparlanti recitavano le preghiere. Rimaniamo incantati dal momento così magico, leggendo negli occhi delle persone la spiritualità del gesto di lasciare la loro lanterna scritta dei buoni propositi e il senso di comunità delle persone che aiutavano affinché tutto si realizzasse con ordine e serenità.
Un bell’insegnamento per noi occidentali chiassosi e schiavi del tutto-subito.
Risvegliati dal momento, proviamo a girare per le strade di Asakusa in cerca di cibo ma, stanchi e non particolarmente affamati, ci accontentiamo di un tramezzino alle uova del seven eleven e torniamo in albergo.Baca lagi
Pengembara
Abbiamo tanto da imparare