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- Dag 8
- donderdag 15 augustus 2024
- ⛅ 36 °C
- Hoogte: 47 m
JapanFushimi Inari-taisha34°58’2” N 135°46’24” E
Verso Kyoto

Ci svegliamo con tutta calma nel ryokan.
La colazione che ci propongono è tipica giapponese, con un sacco di cose viscide, strane e tanto pesce, che facciamo veramente tanta fatica a mangiare a queste ore.
Ci concediamo un altro onsen di dieci minuti, per provare a vedere se il caldo e i fumi dell’acqua termale servano a qualcosa contro il mio raffreddore che nella notte è peggiorato.
Ci prepariamo con calma e riprendiamo il taxi verso la stazione, non prima di aver ricevuto decine di ringraziamenti dallo staff che, una volta saputo che giocavo a pallavolo, ci hanno anche regalato delle caramelle alla soia.
Con tranquillità prendiamo il treno da Maromoto a Kanazawa, dove aspettiamo la coincidenza di due ore per lo Shinkansen facendo una seconda colazione da Starbucks e girando per i negozietti del centro commerciale.
Il viaggio in Shinkansen è tranquillo e veloce: sfrecciamo per i campi di riso a velocità esagerata fino ad arrivare a Tsuruga, dove prendiamo un altro treno veloce, il Thunderbird, fino a Kyoto.
La stazione di Kyoto è affollata e rumorosa. Decidiamo di non fermarci per pranzo e di comprare qualcosa al combini giusto da spiluccare più tardi, prendiamo la metro e dopo solo una fermata usciamo nel traffico della città. Kyoto da subito sembra diversa da Tokyo: non si vedono mega grattacieli, le cose in generale sembrano meno recenti, al tempo stesso compaiono più spesso locali e ristoranti con la vecchia facciata in legno tradizionale.
L’albergo che abbiamo scelto invece è una vera e propria chicca: nuovo, ben tenuto, con il self check in. Con un giorno d’anticipo inoltre sono arrivate le valigie da Kanazawa, per cui tutto benone.
Molliamo tutto in camera e riusciamo subito nella calura del pomeriggio: prendiamo la metro e un treno verso sud, scendendo alla stazione di Inari. L’entrata al tempio di Fushimi Inari Taisha è un mare di turisti: qui c’è un famoso percorso fatto da più di mille torii, le tradizionali porte che precedono i templi shintoisti, donate nel tempo dalle persone che hanno avuto fortuna nella vita per ringraziare gli dei. Già solamente l’avvicinarsi all’entrata del percorso farebbe desistere chiunque con il sole rovente che batte sulla schiena e la folla chiassosa, ancora peggio sono le prime decine di metri dentro i torii, passate a scansare influencer e turisti che si fermano ad ogni passo a farsi foto.
Fortunatamente la scalata al monte Inari ha delle stazioni intermedie, e già alla prima il cinquanta percento delle persone desiste per il troppo caldo. Saliamo ancora, sperando di beccare momenti senza passanti per farci anche noi qualche foto, non sapendo che sarebbe bastata un’altra stazione e un paio di bivi sul percorso per ritrovarci praticamente da soli. L’atmosfera è surreale, ci addentriamo in quello che è segnato come luogo di preghiera, fatto da piccoli mausolei in pietra arroccati sotto il bosco fitto e decorati con piccoli torii in legno rosso. Il silenzio è solo coperto dai nostri passi sulla ghiaia e le cicale che ovviamente stridono forsennate.
Il percorso si addentra talmente tanto nel bosco che ad un certo punto è addirittura buio, illuminato solo da lampioni. Fa più fresco, anche se l’umidità è sempre alle stelle, in più cominciamo a percepire la stanchezza nel salire delle scale interminabili.
Arriviamo alla cima del monte Inari, sotto un cielo azzurro pieno di nuvole bianche veloci. Il sole sta calando e i mausolei sulla punta del monte hanno un’aria solenne. Per questa volta cediamo alla tentazione e lanciamo delle monetine nella scatola delle offerte del tempio, facendo il rito di ringraziamento: due inchini con le mani in preghiera (io in velocità ne ho fatto uno) due battiti di mani e un altro inchino.
Scendiamo il monte per un percorso diverso, con tutta scioltezza e molto più al fresco che all’andata.
Sbagliamo la fermata del treno del ritorno, così ci sorbiamo una lunga camminata non prevista, ma come sempre, tutto ciò che avviene per caso può essere un segno dell’universo: ci godiamo infatti una bellissima passeggiata sul lungofiume, ammirando la città che pian piano accende le luci. Rientriamo in albergo a lavarci e usciamo velocemente, dopo aver notato su Google che i ristoranti chiudono presto la sera. Facciamo una lunga camminata di nuovo fino al fiume, superiamo il ponte e ceniamo in un piccolo ristorante vegano con sushi vegetale e poke di carne di soia.
Per digerire facciamo una lunga camminata nel quartiere di Gion, sperando di incrociare qualche geisha come ci avevano consigliato gli amici. Troviamo invece solo buttafuori all’entrata di ogni palazzo, che probabilmente ospitavano delle sale da te lussuose.
Ci trasciniamo un po’ più avanti, giusto il tempo di beccare un templio tutto illuminato e la famosa stradina con la grande pagoda che ho visto per anni negli esercizi di compositing a BigRock.
Torniamo in albergo alle undici. Siamo cotti, ma c’è ancora un’ultima cosa da fare e non si può rimandare: abbiamo finito mutande e magliette pulite. Cacciamo tutta la biancheria sporca e ci incamminiamo verso una lavanderia a gettoni a qualche isolato dall’albergo.
A mezzanotte siamo ancora lì, seduti su sgabelli di plastica, nell’afa totale, ad aspettare che il nostro bucato si lavi ed asciughi.
Rientriamo in stanza a mezzanotte e mezza, crollando a letto.Meer informatie