• I cervi di Nara

    August 19, 2024 in Japan ⋅ ☁️ 30 °C

    Come ogni volta che lasciamo un posto, la colazione è sempre un po’ malinconica. Abbiamo spedito le valigie domenica mattina e visto sul tracciatore che sono già arrivate ad Osaka.
    Con noi solamente la sacca blu grande, piena zeppa di souvenir presi a Kyoto e vestiti sporchi, che mi carico in spalla e lasciamo l’albergo in direzione della metropolitana.
    In stazione poi ci facciamo consegnare il Kansai railway pass: un biglietto della durata di tre giorni preso prima di partire che ci avrebbe permesso di prendere i treni in tutta la regione, quindi perfetto per la multitratta Kyoto-Nara-Osaka e per l’aeroporto del ritorno.
    Scopriamo che però questo pass non ci da accesso alle linee JR, che coprono la maggior parte dei treni in circolazione (o quantomeno quelli facilmente riconoscibili in stazione visto che Google maps non fa differenze). Sta di fatto che, non avendo voglia di girare per la stazione come scemi, col caldo, il mal di pancia di Paolo dovuto al ramen pika pika e la sacca pesante sulle mie spalle, decidiamo di sacrificare ben 700yen e usare le nostre suica per prendere un treno JR.

    Il viaggio è veloce, tra i sobborghi modesti ma non moderni di Kyoto e qualche piccola foresta. Il tempo non è meraviglioso, è tutto coperto senza tante speranze di vedere il sole e il silenzio della carrozza è interrotto solo dalle chiacchiere di un gruppo di siciliani e romani che come al solito si devono far riconoscere.
    Arriviamo a Nara e molliamo subito la sacca in un locker della stazione.
    Bastano poche decine di metri di camminata verso il parco ed ecco che appaiono le vere attrazioni del posto: i cervi.
    Sono ovunque, sui marciapiedi, sulle aiuole in mezzo alla strada, accucciati vicino agli alberi e sotto le staccionate. Ma soprattutto si ammassano attorno ai turisti: hanno imparato a fare l’inchino in cambio di gallette che prontamente vengono vendute ad ogni angolo. Ma una volta che gliene hai data una ne vogliono ancora e ti assillano anche mordendoti maglia e pantaloni finché non gli scuoti davanti le mani per dimostrare che le hai finite.
    Ci innamoriamo immediatamente di queste bestiole, le vorremmo portare a casa tutte.
    Passeggiamo un po’ sul parco facendo slalom tra i cervi che si fanno accarezzare senza paura fumo ad arrivare alla porta del templio buddista di Todai. Visitiamo l’enorme complesso (il più grande visto finora) che contiene una ancora più gigantesca statua del Buddha. Impossibile capirne le dimensioni con le foto: veramente mastodontica.
    Comincia a cadere qualche goccia di pioggia ma il risultato non cambia: fa ancora maledettamente caldo. Pensiamo che il nostro tempo a Nara sia giunto velocemente alla fine, ci dirigiamo di nuovo in stazione accarezzando più cervo possibile, facciamo una super spesa al combini per il pranzo e ci cacciamo in treno, attivando finalmente la Kansai railway pass. Il viaggio in treno è di nuovo veloce e pacifico, smangiucchiamo il panino alla frittata diventato ormai un must di questo viaggio e provando una tanta verde al sapore di Redbull.
    All’orizzonte si staglia finalmente lo skyline di Osaka.

    Usciamo in una città che ricorda Tokyo: palazzi alti, traffico ordinato ma più importante, insegne e negozi ovunque. Ma soprattutto afa e qualche goccia di pioggia che però non rinfresca.
    Il check in dell’hotel è alle tre, così lasciamo il borsone in hall e facciamo un piccolo giro nell’attesa. Abbiamo preso l’albergo nel quartiere di Namba soprattutto per la vicinanza alla stazione dove avremmo preso il treno diretto per l’aeroporto, ma scopriamo che in realtà è uno dei quartieri più attivi a livello commerciale della città. Così ci ripariamo al fresco di un centro commerciale, compriamo ancora qualcosa da Uniqlo e qualche altro regalino. Facciamo così check in ma, sapendo di non aver molto tempo a disposizione, usciamo subito e prendiamo la metro in direzione del famoso castello di Osaka. Usciamo dalla stazione sotto la pioggia e proseguiamo sotto un solo ombrello, cercando di mantenerci zen nel caldo umido senza bagnarci ulteriormente. Eravamo convinti che il castello chiudesse presto, invece riusciamo ad entrare, anche spinti dal bisogno di stare al riparo dalla pioggia. Visitiamo i vari piani un po’ annoiati, fino a risalire sul terrazzo all’ultimo piano per prendere un po’ di ossigeno e guardare la città avvolta nella pioggia.
    Fortunatamente appena ridiscendiamo smette di piovere, ci concediamo quindi un caffè da Starbucks prima di prendere una nuova metro e tornare in albergo.

    Per cena usciamo nel vicino quartiere di Dotonbori, una rete di stradine piene di insegne luminose affascinanti di ristoranti e negozi. Ci perdiamo in giro scoprendo angoli uno più bello dell’altro.
    Finiamo a cenare in un piccolo ristorantino al secondo piano di una casetta fatiscente, un posto che Paolo chiama “punk”: scopriamo essere la “succursale” di un altro ristorante vegetariano gestita da un’unica persona, ma specializzata in Takoyaki, una polpetta di patate e verdure pazzesca. Mangiamo tre piatti per la voglia di provare tutto ma ne usciamo rotolando. Ci trasciniamo un po’ in giro per le vie di Dotonbori fino a tornare in albergo e, dopo l’ennesima doccia, dormire finalmente dopo una giornata piena ma sempre bella.
    Read more