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- Day 3
- Sunday, October 12, 2025
- ⛅ 20 °C
- Altitude: 2,312 m
MexicoSan Francisco Mazapa19°41’56” N 98°50’39” W
Teotihuacan
October 11 in Mexico ⋅ ⛅ 20 °C
Altra sveglia presto, di nuovo occhi aperti dalle cinque e mezza. Il jet lag si fa ancora sentire.
Riusciamo a fare colazione in albergo con vista su Città del Messico e alle sette e mezza Cesar é fuori che ci aspetta con il suo taxi giallo.
Il programma della giornata é stato cambiato all’ultimo: avremmo dovuto passare la giornata con Isotta, il marito e altri amici a Coyoacán ma, complici le ultime piogge che hanno reso inservibili le famose barchette, abbiamo deciso di usufruire dell’ottima compagnia di Cesar anche oggi e andare verso una meta che avevamo in primis deciso di saltare perché troppo fuori città: le piramidi di Teotihuacan, un sito archeologico azteco enorme a nord di Città del Messico.
La strada si é lunga, ma le chiacchiere e i racconti di Cesar ci fanno passare il tempo in velocità. Usciamo dal centro e la qualità dei quartieri si abbassa velocemente. Fino ad arrivare a quelle che sembrano proprio delle favelas arrampicate alle pendici delle montagne che circondano la valle di Città del Messico, con tanto di cabinovie sopra le case fatiscenti per spostarsi più velocemente da un barrio all’altro.
Raggiungiamo il parco di Teotihuacan e ci rendiamo conto di aver fatto di nuovo la scelta giusta ad affidarci a Cesar, che abilmente passa una dopo l’altra le guide turistiche che si mettono in centro strada con l’obiettivo di fermare l’auto e proporsi per accompagnarci alle piramidi, o i “butta dentro” dei ristorantini che urlano dal lato della strada per convincerci a desayunar (fare colazione) nei loro baracchini.
Paghiamo incredibilmente poco l’entrata al sito, solo 100 pesos (4€) a testa e 70 di parcheggio. In Italia un posto del genere avrebbe chiesto cinque volte tanto.
Con la guida di Cesar passeggiamo accanto all’enorme piramide del sole, che purtroppo non é più scalabile dopo una festa con deejay e centinaia di persone, a detta sua, epica.
Siamo praticamente i primi della giornata, i pullman di turisti devono ancora arrivare, pure i messicani stessi stanno ancora disponendo amuleti di ossidiana e cianfrusaglie varie sugli asciugamani per terra.
Le nuvole corrono in cielo e ogni tanto il sole fa capolino scottandoci il collo e accendendo il verde dell’erba attorno a noi e sulle pietre posate chissà quante centinaia di anni fa dai popoli precolombiani.
Il paradiso però si sa non dura per sempre e il silenzio sacro viene interrotto ogni tanto dai flauti dei venditori che simulano gufi o peggio, ti fanno trasalire con versi di giaguaro all’improvviso.
Seguiamo quella che doveva essere la via principale verso la piazza sei sacrifici, con di fronte la più piccola ma infinitamente più bella piramide della luna. Fortunatamente su questa si può salire fino ad un certo livello, ma i gradini sono alti e ripidi e il fiato viene subito a mancare (anche perché Città del Messico sorge su di un altopiano di 2300 metri). Dall’alto della scalinata però il paesaggio é magnifico e si perde fino alle montagne attorno alla valle, illuminate a tratti dal sole e addirittura con qualche mongolfiera qua e là. É impossibile non sedersi qualche minuto e contemplare l’energia che emana quel luogo (oltretutto proprio Isotta ci ha consigliato di vestirci di chiaro per raccogliere il sole in questo punto energetico forte).
Torniamo alla macchina e ci rimettiamo in strada verso Città del Messico. Ripassiamo ancora meravigliati sotto le cabinovie che collegano le favelas e ci ributtiamo nel traffico del centro.
Visitiamo al volo il museo sotto al monumento perla rivoluzione mentre Cesar ci aspetta con il taxi in mezzo ad una rotonda con quattro frecce (Mehico Mahico) e ci spostiamo poi nel centro storico, visitando una mostra di arte surrealista nel palazzo delle arti e percorrendo la via pedonale piena di persone che si riversa nel zocalo, la Plaza de la Constitucion. Non prima però di aver assaggiato le esquites: una sorta di zuppa bollente con mais, formaggio, maionese e chili e il bisquet, un panino dolce con formaggio a cui Cesar ci ha invitati ad aggiungere un jalapeño verde, mandando a fuoco le cinque afte che ho in bocca e facendomi nascondere le lacrime mentre camminiamo tra la folla.
Visitiamo la cattedrale principale con i suoi ori e dipinti, i resti delle antiche piramidi azteche che sorgevano nel centro città prima della conquista spagnola e camminiamo per quartierini pieni di negozi di cianfrusaglie fino all’auto parcheggiata sotto ad un centro commerciale. Chiediamo a Cesar di aspettarci mentre ci laviamo in albergo e usciamo di nuovo per raggiungere questa volta il quartiere Condesa, un po più altolocato, dove la cugina di Paolo Isotta ci aspetta per “pranzare” alle cinque di pomeriggio. Lei, suo marito e il loro migliore amico Ciucio ci spiegano che nel weekend i messicani vanno molto lenti, tanto che la colazione é paragonabile ad un nostro brunch, il pranzo alle quattro di pomeriggio e la cena anche alle undici di sera. Per riuscire a soddisfare i nostri gusti vegetariani, mangiamo in un locale libanese e veniamo colpiti dalla loro veracità: ordinano quasi venti piattini “para compartir” ma divorano tutto in pochissimi minuti. Ovviamente bevono spritz aperol mentre a noi fanno provare il mezqualito, un misto tra mezqual e succo ai frutti rossi. Anche piacevole se non fosse per il bordo del bicchiere decorato di sale e peperoncino che fa di nuovo esplodere dal dolore le mie afte.
Dopo pranzo/cena ci portano in giro per il quartiere dove Isotta vive, uno spaccato meraviglioso di città pieno di verde e case belle con una strada elicoidale che lo attraversa perché, come mi spiega Ciucio, prima dell’espansione della città, li c’era l’ippodromo.
Ci fermiamo quasi per caso dentro una delle case più tradizionali del quartiere: una villa bianca con soffitti alti e pavimenti in legno, che era aperta alle visite in occasione di una mostra d’arte.
Proseguiamo la passeggiata verso il parco del quartiere, pieno di coppie benestanti che portano a spasso i cani e gruppi di salsa che provano le coreografie all’aperto.
Prendiamo un caffè in una sorta di Starbucks messicano per decidere il da farsi. Pranzare (o cenare) alle cinque del pomeriggio mi ha completamente sbarellato, in più la sveglia presto, i chilometri a piedi, il mezcalito… comincio ad accusare il sonno. Eppure sono appena le sette di sera.
Così prendiamo l’auto di Ciucio e ci dirigiamo nel quartiere di Palenque, dove saliamo sul rooftop di un palazzo a bere tequila con acqua frizzante e parlare di quanto sarebbe incredibile venire a vivere qui.
Io però faccio fatica a tenere gli occhi aperti e purtroppo il vento freddo della terrazza non mi aiuta. Decido così di arrendermi alle dieci e mezza, salutare tutti e lasciare Paolino alle loro cure per prendere un Uber, tornare in albergo e svenire non appena appoggio la testa sul cuscino.Read more










TravelerIl giusto relax per ripartire con lo sguardo affascinato e curioso 😘