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- Day 5
- Tuesday, October 14, 2025
- ☁️ 26 °C
- Altitude: 1,557 m
MexicoOaxaca City17°3’40” N 96°43’40” W
Oaxaca
October 13 in Mexico ⋅ ☁️ 26 °C
Ci svegliamo che a Oaxaca c’è bel tempo finalmente. Facciamo colazione di huevos revueltos con frijoles e pancake.
Non abbiamo programmi predefiniti, vogliamo vivere un po Oaxaca lentamente come la vita messicana impone.
Infatti alle nove e passa del mattino é ancora tutto in risveglio lento: poche persone per strada, nessun turista, i negozi per la maggior parte ancora chiusi. Visitiamo la Cattedrale centrale di Santo Domingo, piena di ornamenti dorati e dettagli, per poi spostarci verso sud sulla strada pedonale principale verso la zona dei mercati coperti.
Per primo il Mercado Benito Juárez: un labirinto di negozietti di vestiario, souvenirs, accessori in pelle, gli immancabili coloratissimi Alebrijes e il famoso mezcal di Oaxaca. É un misto di colori e odori mentre ci perdiamo tra i vicoli stretti e le bancarelle che lentamente si animano per un’altra giornata di contrattazioni con abitanti e turisti.
Passiamo poi al Mercado 20 de Noviembre, dedicato esclusivamente al cibo. Qui macellai che espongono strati e strati di carne asada, con addirittura i barbecue per cucinarla e servirla per colazione agli avventori voraci delle dieci del mattino. Frutta, verdura, spezie, liquori, pane: c’è veramente di tutto. Il centro del Mercado poi é composto da piccolissimi ristoranti che servono al banco o su tavolate lunghe e strette, e meseras (cameriere) ad ogni metro che ti sventolano il menu davanti alla faccia elencando più velocemente che possono i piatti a disposizione per convincerti a fermarti da loro.
Usciamo dai mercados per continuare il giro per il centro. La giornata é splendida e c’è una luce magnifica che illumina ed esalta i colori delle pareti esterne di ogni costruzione bassa a bordo strada, ma non é tanto bello fuori quanto le corti interne che ogni tanto ci capita di sbirciare dalle porte. Decidiamo così di prendere un cappuccino in una delle più belle , che scopriamo essere un piccolo albergo immerso nelle piante.
Girovaghiamo ancora senza meta godendoci il sole e il caldo, scoprendo che, come a Città del Messico , ogni strada accomuna negozi con lo stesso tema: quello dei tessuti, del caffè e cioccolato, dei negozi di cianfrusaglie come i nostri cinesi, che vendono qualsiasi tipo di decorazione per il dia de muertos e addirittura si portano avanti per Natale.
Ci ributtiamo dentro ai mercados con l’obiettivo di trovare e provare dei ponchi messicani ma restiamo delusi quando scopriamo che sono molto più grandi e ingombranti (e costosi) di quello che ci aspettavamo. Anche le camicie sono troppo particolari e il pensiero, lo stesso per i cappelli da mariachi, é che sarebbero da comprare e indossare qui in Messico, ma a casa finirebbero in un armadio a prender polvere. Certo che ce ne sono di bellissimi, come i costumi da mariachi.
É ora di pranzo e il girovagare ci ha messo appetito: insisto per non sederci in un ristorante e provare un’esperienza più local così torniamo dentro il Mercado 20 novembre e ci sediamo ad una delle baracche, non prima di aver controllato se servivano qualcosa anche per noi. Mangiamo così due tlayuda vegetariane: una sorta di tortilla dura e larga, simile al pane carasau sardo, ricoperto di crema di fagioli, funghi, formaggio e verdure.
Non ce la sentiamo ancora di provare il mole, un intruglio nero composto da più di 20 ingredienti, cioccolato e caffè inclusi, che vediamo vendere in giro per i banchetti del Mercado.
Decidiamo di tornare in hotel e rilassarci un po nella piscina sul tetto, prendendo il sole e ammirando le nuvole messicane basse che corrono pacifiche.
Sono ormai le cinque che usciamo di nuovo a passeggiare verso il nord del centro città, lasciandoci i turisti alle spalle ed esplorando le calles piene di casette basse e mura colorate.
Stiamo cercando un posto per mangiare la sera quando vicino sentiamo della musica, la seguiamo e ci imbattiamo in una parata di danzatrici e figuranti in costume tradizionali, che si muovono a destra e sinistra a tempo suonato da una banda di trombettisti e tamburelli. La situazione è meravigliosa, tutti escono dai negozi, si affacciano dalle terrazze, i turisti impauriscono ogni volta che il capofila lancia in aria un petardo per annunciare il passaggio del convoglio. Ogni cento metri o quando una canzone finisce, si sente qualcuno del gruppo urlare “viva el senor …” o “viva la …qualcosa” e prontamente tutti gli altri in coro “viva!”. È uno spettacolo ipnotico e per come ci è arrivato per caso, decidiamo di seguire la processione, speranzosi di assistere a qualche spettacolo alla fine del percorso. Ma il gruppo non si ferma e per più di un’ora andiamo lo seguiamo su e giù per le vie del centro, addentrandoci anche in quartieri che probabilmente avremmo evitato se fossimo stati da soli. Cala l’imbrunire ma il gruppo imperterrito continua la sua marcia, i suoi balli e la sua musica. A una certa però, ritornati nel centro storico, decidiamo di lasciarli andare. Non sapremo mai quanto sarebbero durati, se ci fosse stata una fine alla parata, pazienza è stato bello finché è durato.
Torniamo indietro e ci rintaniamo in un ristorantino che Paolino aveva trovato su Google e si era assicurato facesse piatti vegetariani.
Il menù è confuso ma ci facciamo spiegare dalle gentili cameriere e ordiniamo enchiladas con fagioli e il famoso mole.
Poco da dire: non ho mai assaggiato qualcosa di più disgustoso. Mi è sembrato come le sette sorelle di Pechino express, ad ogni morso quasi i conati di vomito. Non mi ritengo uno schizzinoso, anzi: se una cosa è così apprezzata e venerata ci sarà un motivo. Ho addirittura assaggiato una cavalletta fritta al Mercado.
Ma quella roba era veramente immangiabile.
La cosa mi mette di cattivo umore. Lasciamo lì il piatto e le ragazze alla cassa, dispiaciute per la reazione, insistono per non farcelo pagare.
Così usciamo con ancora un po di fame e decidiamo di rifarci la bocca in un buco - perché chiamarlo ristorante non è possibile - che serve al banco tacos vegetariani e che avevamo scartato per l’altro.
Mangio malvolentieri un taco con carne vegetale e coriandolo che in realtà era molto buono e, aspettando che il proprietario andasse al supermercato a comprarci due birre, facciamo amicizia con una coppia che mangiava accanto a noi. Scopriamo che sono australiani in anno sabbatico, che hanno girato l’Europa prima di trasferirsi negli Stati Uniti, scendere in Messico, per finire entro Natale con Colombia, Perù e Argentina.
Parliamo di viaggi, di vegetarianesimo e scopriamo di essere stati nello stesso meraviglioso ristorantino vegano imbucato tra le colline dell’isola di skye in Scozia.
Ci salutiamo, augurandoci di rivederci magari un giorno in Australia, dove ci hanno assicurato che le bestie non sono così pericolose come si narra.
Torniamo in albergo, non prima di aver trangugiato al volo una birra in una terrazza-bar vicino per sfuggire alla loro serata karaoke.
Abbiamo visto tanto oggi. Tanto da addormentarci subito appena tocchiamo il cuscino.Read more
















