- Show trip
- Add to bucket listRemove from bucket list
- Share
- Day 9
- Saturday, October 18, 2025
- ⛅ 25 °C
- Altitude: 1,111 m
MexicoChilón16°59’17” N 92°6’19” W
La strada per Palenque
October 17 in Mexico ⋅ ⛅ 25 °C
Sembra di aver appena chiuso gli occhi quando alle 3:05 suona la sveglia.
Ci vestiamo, chiudiamo gli zaini che diligentemente avevamo preparato la sera, lasciamo le chiavi della stanza al guardiano notturno dell’albergo e aspettiamo nella hall dell’hotel, silenziosi e rincoglioniti.
Alle 3:40 arriva il van che ieri ci aveva portato al canyon del sumidero, con lo stesso autista pazzo.
Carichiamo gli zaini nel vano posteriore e ci piazziamo in ultima fila, dove ieri c’erano i ragazzi messicani che non smettevano un secondo di parlare. Purtroppo il mio posto singolo con lo spazio per le gambe é già preso da un tedesco alto addirittura più di me che avevamo già incrociato assieme alla fidanzata nel bus da Oaxaca.
Il van sfreccia per le strade umide e vuote di San Cristobal ed esce dal centro, non prima di aver caricato altre tre ragazze spagnole e un classico backpacker (probabilmente brasiliano o giù di lì) uscito da un’ostello con in spalla uno zaino grande un terzo dei nostri.
Manuel l’autista, una volta raccolti tutti, annuncia che ci metteremo circa due ore e mezza prima di fermarci a colazione e di prepararsi perché la strada che avremmo affrontato contava più di 900 curve e 240 rallentatori.
Lì abbiamo sentiti tutti. Dal primo all’ultimo.
Manuel si riconferma il pazzo scatenato alla guida, affrontando curve a 100 all’ora nel buio più totale e quasi inchiodando non appena vede un rallentatore. In più il van vibra da morire, i posti sono stretti e c’è un perenne odore di benzina nell’aria.
Dormire é letteralmente impossibile.
Chiudiamo gli occhi a turno, sperando di prendere sonno per i dieci/venti secondi di assurda velocità che separano un dosso dall’altro.
Il van corre per strade che sa solo lui, evitando quando possibile buche o pezzi di asfalto rovinati.
Il cielo alle cinque e mezzo comincia a schiarire, rivelando la foresta pluviale attorno a noi immersa nella nebbia, mentre da lontano il sole che sorge colora di rosso le silhouette delle montagne alla nostra destra.
Smetto di provarci a dormire, tanto era più una sofferenza che altro. Buttando lo sguardo dal finestrino comincio a intravedere le baracche sorgere timide qua e là in mezzo ad una giungla rigogliosa e imponente.
Passiamo piccoli villaggi estremamente malridotti, davanti a noi camioncini che trasportano persone, a volte famiglie con bambini nel cassone coperto dietro.
Rivedo le baracche fatte di pezzi di legno, lamiere, pochi mattoni sgangherati che tanto mi avevano colpito in India. Mi domando quindi se sia per un discorso di povertà che questi posti siano così in sfacelo o perché a queste latitudini la natura é talmente prorompente e invasiva che neanche ci provano a tenere le costruzioni decenti.. o semplicemente entrambe le cose.
Certo ancora una volta passare di sfuggita in mezzo a queste situazioni é l’ennesimo invito a ricalibrarmi non su quanto siamo fortunati in Europa ma su quanto diamo per scontato e ci roviniamo vita e fegato dietro dettagli insignificanti.
Mentre mi rendo conto di fare come al solito i miei grandi pensieri sulla vita, il van gira bruscamente a destra, entrando in un piccolo parcheggio sterrato.
Manuel se ne esce con un “desayuno (colazione). Ci consiglio di farla perché la prossima volta che mangerete sarà alle quattro del pomeriggio”.
Eravamo preparati. Il voucher del viaggio verso Palenque diceva che ci sarebbero state due pause pasti ma non era obbligatorio mangiare: se uno voleva poteva portarsi il cibo. E così noi avevamo fatto: la sera prima avevamo comprato biscotti e succo di frutta, messi in un sacchetto pronti per essere tirati fuori e farci la nostra piccola colazione.
Ma no. Viene ad aprirci il portellone una sorta di parcheggiatore, invitandoci con lo sguardo a scendere. Entriamo in una sorta di ristorante coperto, dove camerieri in mascherina ci fissano e aspettano che paghiamo 120 pesos a testa per fare colazione a buffet da loro.
Intimiditi, non ce la sentiamo di fare i contrari, anche perché il resto della gente che era in van con noi ha tirato fuori subito i soldi e si stava già servendo al banco dei salati.
Incattivito dal poco dormire, infastidito dalla forzatura di questi trucchi meschini, alterato dalla frittata di uova strapazzate servita con il prosciutto e quando chiedo se me ne fanno un po senza non mi rispondono neanche, faccio veramente fatica ad avere gli stessi pensieri positivi di dieci minuti prima, mentre Paolino che è più saggio di me se la ride a vedermi fumare.
Fortunatamente ho imparato a sbollire velocemente. Lasciamo due pesos di mancia per ripicca verso una colazione terribile e rimontiamo sul van.
Il sole intanto si é alzato tra le montagne, mentre corriamo smarcando una curva dopo l’altra e attraversando villaggetti pieni di bambini a bordo strada pronti per la scuola, donne che grigliano carne o pannocchie affacciate alla strada e che ti invitano a comprare, alberi di banane in frutto, chiesette in muratura lasciate incompiute.
Sono ormai le 9 quando arriviamo nel parco nazionale di Agua Azul. Subito ci spogliamo di felpe e braghe lunghe: fa caldo torrido e il sole filtra tra le foglie nel sotto giungla tropicale.
A pochi passi dal parcheggio intravediamo le famose cascate mentre a riva tutta una serie di baracchini in via di allestimento. Risaliamo i vari ponticelli e scalinate in pietra che costeggiano queste cascate enormi, rese ancora più affascinanti dalla luce del mattino. Come purtroppo ogni cosa qui in Messico, anche questa meraviglia naturale è diventata una forte meta turistica, tanto da influire pesantemente nel villaggetto accanto perché tutti, di qualsiasi età sono impegnati a vendere ninnoli, magliette, souvenir e noci di cocco “potenziate” con chili.
Rimaniamo incantati dalle piante attorno a noi, tanto da riconoscerne alcune che abbiamo a casa… in versione gigante.
Dalle informazioni sul tour c’era scritto che volendo si poteva nuotare sulle risacche delle cascate, così ci eravamo ficcati in zaino prima di partire costume e asciugamano.
Saliamo più in alto alla ricerca di un posto dove immergermi ma più andavamo avanti, più l’idea non mi piaceva più di tanto. In aggiunta, comincia a seguirci un ragazzo che, facendo il gesto del nuoto, ci vuole accompagnare a tutti i costi in un posto bellissimo dove poterci fotografare e chiedere la solita propina (mancia). Questo mi toglie completamente la voglia di entrare in acqua, per cui giriamo i tacchi, mandiamo via il ragazzo visibilmente deluso e ritorniamo sui nostri passi.
Ci fermiamo ad ammirare il panorama seduti su una panchina, giusto di fronte uno spot dove era consentito fare il bagno.
Continuavo a pensarci se farlo o no e alla fine mi sono deciso: meglio togliersi lo sfizio che vivere poi la giornata con il rimpianto. Per cui mi cambio il costume in uno dei baños (a 10 pesos mannaggia) e mi faccio una nuotatina di fronte a Paolino divertito. A ruota mi segue anche una ragazza tedesca e uno spagnolo di un altro gruppo di turisti.
L’acqua é fresca ma non impossibile. Torbida, ma non troppo alta e c’è una corda a cui aggrapparsi per non venire trascinati dalla corrente.
Esco, mi asciugo e siamo pronti per rimetterci in viaggio nel van, che scanna per i villaggetti della giungla, quasi inchiodando ogni volta che trova un rallentatore in cemento.
Un’ora dopo ci fermiamo ancora, questa volta la visita è più breve. Ci avviciniamo alla cascata di Misol Ha: un bestione d’acqua alto 45 metri che si infrange in un laghetto circondato dalla foresta tropicale e niente ha da invidiare alle cascate islandesi che tanto abbiamo adorato.
Facciamo foto e passiamo sotto la cascata, lavandoci completamente. Prendiamo qualche rametto di potos giganti caduti a terra, vediamo se a casa riusciremo a farli rinascere.
A Chiapas tutto costa per i turisti. Anche i bagni. Ci stiamo abituando all’idea che più ci avviciniamo allo Yucatàn, più dovremmo un po dire addio al Messico autentico e non troppo turistico che abbiamo adorato a Oaxaca e San Cris.
Una sola mezz’ora di van in mezzo alla giungla ed eccoci alla meta finale del giorno: Palenque.
Me l’aspettavo diversa, sono sincero. Abituato alle bellissime cittadine viste finora, Palenque é una sola cosa: traffico.
Strade brutte, caos, lavori.
Il van imbocca una stradina che si allontana dal centro e si infila nella giungla. Dopo pochi minuti arriviamo al parco archeologico, il vero motivo della nostra lunga traversata di oggi.
Manuel si ferma al parcheggio e ci propone una guida, così concordiamo con la coppia di tedeschi e il guayano (almeno così credo abbia detto) di fare l’esperienza completa di due ore, con tanto di esplorazione della giungla alla ricerca di animali, il tutto per 2260 pesos.
Così ci affidiamo a Pedro, una guida simpatica che ci accompagna per le rovine di Palenque, raccontandoci della loro costruzione per il re Maya Pakal, la sua tomba incredibilmente pesante e la sua età incredibilmente avanzata, come hanno costruito i palazzi e le torri del sacrificio in posizioni strategiche perche il sole e la luna, nei solstizi, si posizionassero attraverso di loro.
Fa caldo, caldissimo, umido. Passare dai 2000 metri freddi di San Cristobal ai 60 di Palenque é veramente spossante.
Pedro ci fa sedere all’ombra per raccontarci la leggenda del re astronauta, dovuta all’interpretazione creativa negli anni ‘70 del bassorilievo trovato sulla sua tomba e del calendario Maya, estremamente preciso e che avrebbe previsto un riassesto nel 2012 come il nostro anno bisestile.
Esploriamo ancora il sito arrampicandoci su una delle piramidi e ammirando come i Maya fossero riusciti a costruire uno spazio così bello attorno ad una foresta pluviale rigogliosa e magnifica.
É tempo di entrare quindi nel verde appena dietro le rovine. Ci facciamo strada tra liane e alberi, l’umidità è soffocante e la luce del pomeriggio fa fatica a filtrare tra le foglie di alberi altissimi e piante che noi a casa possiamo solo immaginarci. Sentiamo a distanza le scimmie urlatrici, fa quasi paura il loro verso. Pedro ci dice che non attaccano, marcano solo il territorio.
É ora però di uscire dalla foresta. Manuel ci viene a recuperare con il van e ci fa il favore di accompagnarci in albergo.
Il tour prevedeva anche la possibilità di pranzare, ma dopo l’esperienza della colazione preferiamo saltare. L’albergo è carino, con la piscina.
Ci rilassiamo in acqua una mezz’ora, doccia e usciamo per cena.
Non ci fidiamo a girare per il centro brutto di Palenque, fortunatamente ci sono ristoranti proprio accanto all’hotel che propongono alternative veggie.
Mangiamo burritos con patatine fritte, ma siamo talmente stanchi che anche 100 metri di camminata verso il centro ci pesano.
Torniamo in camera e il tempo di sistemare gli zaini per domani che stiamo già dormendo. Alle 9:30.Read more

















