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- Hari 4
- Ahad, 5 Julai 2020 1:00 PTG
- ☀️ 20 °C
- Altitud: 2,054 m
ItaliLimone Piemonte44°12’8” N 7°37’27” E
Direzione Limone - F

Ore quattro e zero zero. La sveglia suona, ma io sono già vigile da almeno un quarto d'ora. Il concerto di ieri non si è rivelato elemento di disturbo per il mio sonno e sono riuscito finalmente a riposare per bene. A quest'ora la frenesia è tanta e -complici il freddo e la voglia di mettersi in marcia- in pochi minuti siamo pronti a partire.
Siamo io, Albe e Dario; Matteo ha preferito continuare a dormire. Partiamo di buona lena perché vogliamo arrivare in tempo per l'alba e perché, reconditamente, tutti e tre culliamo il desiderio di essere la prima compagnia di giornata in vetta al Marguareis. Procediamo con la frontale in testa perché seppur la luna sia alta e quasi piena la sua luce non è sufficiente a illuminare bene il terreno. Poco prima di approcciare l'ultimo tratto, la “Direttissima” abbiamo un attimo di smarrimento ma con buon senso ci fermiamo un istante e nel giro di due minuti recuperiamo la retta via. Durante questa sosta forzata notiamo i versanti blu della montagna che con l'appropinquarsi della luce solare si stanno via via schiarendo. Verso il basso c'è un altro gruppetto di esploratori che come noi sta risalendo il versante della montagna con la torcia accesa.
Riprendiamo la marcia e dopo pochi minuti siamo in vetta. La cima ci ospita con la sua austera accoglienza. Una croce di ferro, sassi, vento tagliente e un panorama indimenticabile. Il cielo è terso e sgombro da nuvole, c'è solo una leggera foschia in lontananza. Vediamo tutto, quantomeno per la mia fantasia. Se il mondo fosse soltanto ciò che ora sto vedendo ne sarei felice. Ciò che si scaglia oltre il mio campo visivo è superfluo. Vediamo il Mar Ligure, l'immancabile Monte Faudo, il Frontè, il Saccarello, Cima delle Saline e le altre Alpi Liguri nella loro interezza. Vediamo il Gelas, l'Argentera, il Monviso e al di là della pianura vediamo la prosecuzione dell'arco alpino che si estende con cime a noi ignote o indistinguibili per via della leggera foschia.
La luce si estende su di noi e sui monti circostanti finché in lontananza verso est, rosso come il tuorlo di un uovo, compare lui: il Sole. Il Sole sale, lento e inesorabile: è il segno tangibile dello scorrere del tempo. Dentro di noi quei cinque minuti sono un intervallo di tempo imperituro, definitivo, immortale, che trascende la sequenziale successione degli eventi della vita.
Dopo l'apoteosi dell'alba facciamo conversazione perché in questo momento in vetta con noi ci sono altre tre persone. Il primo è un signore che avevamo perculato la sera precedente chiedendoci sarcasticamente come mai salisse verso la cima a quell'ora e con una tenda legata allo zaino. La risposta era semplice: ha dormito in vetta. Gli altri due sono padre e figlio, partiti a mezzanotte da Borgomaro per vedere l'alba dal Marguareis. In questo momento constatiamo che nel mondo c'è sempre qualcuno più abbelinato di te. Noi siamo partiti a piedi da Imperia e quel giorno ci siamo svegliati alle quattro per arrivare lì in cima, però l'altro signore è certamente più abbelinato di noi: lui ha dormito da solo in tenda in vetta. D'altra parte per vedere l'alba è meglio dormire in vetta piuttosto che partire a mezzanotte da Borgomaro e farsi tutta l'ascesa nel buio pesto, perciò la coppia padre- figlio era più abbelinata di lui. Infine noi eravamo più abbelinati del tandem di Borgomaro perché siamo partiti da più lontano e ce la siamo fatta tutta a piedi.
Siamo ancora immersi nei paradossi esistenziali che il ragazzo di Borgomaro ci racconta di un fantomatico eroe dei nostri giorni che era partito da Imperia con l'intento di arrivare a Limone Piemonte col solo mezzo delle sue gambe e della sua tenda. Ebbene sì, questo eroe moderno è Matteo e la sua fama lo ha preceduto pure sulla vetta del Marguareis.
Qualche minuto dopo sono arrivati due signori, quelli che vedevamo in basso con la frontale accesa, portando a otto il numero degli “abbelinati” ( o forse privilegiati) in cima al Marguareis alle cinque del mattino. Il tempo di un caffè caldo e qualche foto e ci ributtiamo giù in discesa.Arrivati al campo facciamo colazione, sbaracchiamo la tenda e ci rimettiamo in marcia.
Dal momento del primo passo sulla via che ci avrebbe definitivamente condotto a Limone mi prende una gran malinconia, tale dal farmi essere più insopportabile del solito. Andare a casa non mi va proprio, ma sto rischiando di rovinarmi le ultime ore di questa avventura perciò cerco di non pensare al futuro e di tornare al momento presente. Arrivati alla Capanna Morgantini la nostra non-voglia di tornare a casa ci fa prendere una deviazione la quale allunga il nostro percorso. Come se non bastasse interpretiamo malamente la cartina e ci dirigiamo in una direzione non preventivata. Quando ci accorgiamo dell'errore abbiamo già perso troppa quota quindi non ci resta che ridisegnare il percorso e sopportare le ultime fatiche. In questa fase prima percorriamo stupendi prati decorati da fiori di ogni tipo e tonalità cromatica, successivamente ci avventuriamo nell'erba alta e acquitrinosa, quindi prendiamo un sentiero che inerpicandosi attraverso una pineta ci riporta in quota. Giunti al passo non ci accontentiamo di scendere direttamente a Limone e saliamo fino alla vetta del Monte Iurin dove consumiamo l'ultimo frugale pasto della nostra gita.
I nostri intenti di perderci per i monti e rimanere lassù non sono andati a buon fine, ora vediamo chiaramente il centro abitato di Limone là in basso che ci aspetta. La discesa è eterna (1300 metri di dislivello in negativo), tortuosa ed estenuante. Dario in un suo attacco di follia per placare la frustrazione dovuta al mal di gambe raccoglie un pietrone e lo scaglia nella boscaglia accompagnando il gesto con un urlo liberatorio. Ormai siamo alle porte del paese, ma non vogliamo ancora tagliare il traguardo. Ci gettiamo in un ruscello gelato affidando alla crioterapia il compito di lenire i nostri dolori articolari.
Però è davvero finita, siamo a Limone, siamo arrivati.
Da un lato soddisfazione, dall'altro tristezza.
Ci facciamo un'ultima birra per brindare alla nostra impresa e poi incontriamo gli altri che ci sono venuti a prendere. E' incredibile quanto il microcosmo che ci siamo creati in questo breve periodo si dissolva in fretta. Quattro giorni a condividere fatiche, dolori, tende, cibo, panorami, abitudini, stati d'animo, traguardi e piaceri ed ora tutto svanisce in due secondi.
D'altronde è così: le imprese aggregano, ma una volta terminate si torna alla propria vita. Però delle avventure non resta solo il ricordo, rimane anche una traccia dentro di noi, una “memoria comune” che ci unisce nel tempo.
Sono già trascorsi alcuni mesi da quell'avventura sgangherata e ripercorrerla mi ha permesso di tenerne vivido il ricordo, il mio auspicio è che in un futuro non lontano si possa replicare per andare a calcare nuovi percorsi e scoprire nuove frontiere.Baca lagi