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  • Giorno 4

    Direzione Limone - D

    5 luglio 2020, Italia ⋅ ☀️ 16 °C

    Un tema ricorrente di questi giorni è la mancanza di sonno. Anche questa notte non ho dormito nulla. L'angoscia dell'ascesa mattutina mi ha tenuto sveglio tutta la notte. Mi sono limitato a giacere nel sacco a pelo con tutti i vestiti che avevo nello zaino, a questa altezza abbiamo avuto un assaggio del freddo vero. Sono io ad anticipare la sveglia. In un attimo sono pronto e aspetto i miei due compagni. Siamo assonnati ma motivati. Ci riprendiamo rapidamente e ci sciacquiamo la faccia per darci la forza di andare. Abbiamo un solo zaino che ci divideremo nella salita. Io faccio il primo turno da facchino. Davanti va Luca che sembra ricordarsi meglio la strada. La notte è meravigliosa. Siamo accompagnati da un cielo terso e da una luna che ci fa da farò nel tragitto. Praticamente le luci che ci siamo portati sono totalmente inutili. Nonostante tutto questo, i primi passi che muoviamo sono un po' incerti, tanto che dobbiamo ritrovare la strada un paio di volte. Dopo una prima passeggiata relativamente agevole, la montagna ci obbliga a un'ascesa costante che sferza le nostre gambe già sotto pressione da giorni. L'assenza dello zaino però si fa sentire. Dopo esserci abituati a portare sulla schiena l'equivalente di un quarto del nostro peso corporeo, camminare senza ci fa sembrare di avere le ali ai piedi. Camminiamo silenziosamente, forse non abbiamo nulla da dirci o forse è la salita a farlo per noi. Siamo talmente concentrati sui nostri passi che a un certo punto andiamo praticamente a sbattere in un camoscio. Incredibilmente l'animale ci ha osservato finchè non siamo stati estremamente vicini a lui. Ci siamo accorti della sua presenza solo perchè a un certo punto si è mosso facendo cadere qualche pietra. Forse era stanco anche lui e non capiva cosa ci facessero delle persone da quelle parti. La salita continua agevole, di fianco a noi alcune conformazioni della montagna hanno reso possibile la formazione di nevi perenni, un lascito di inverni passati. Arriviamo, quasi senza accorgercene, alla “direttissima”. L'ultima parte della salita al Marguareis, dove chi cammina viene messo davanti alla scelta di percorrere la stada semplice e lunga o quella più ardua e breve. Per noi non si parla nemmeno di una scelta. La direttissima tiene fede al suo nome. In alcuni tratti dobbiamo salire praticamente con la pancia contro le rocce in una sorta di arrampicata molto poco elegante. La difficoltà è relativa, ma in breve esauriamo la parte più ripida. Pochi metri, piuttosto agevoli, ci separano dalla cima, come sempre evidenziata da una croce, la più grande di quelle che abbiamo incontrato. Mentre ci avviciniamo il sole non ha ancora fatto capolino dalle montagne ma iniziamo già a vedere il cielo con un maggior chiarore. Arrivati quasi sotto la croce scopriamo, non senza stupore, che un altro viandante ci ha preceduti. É arrivato qui la sera prima e ha dormito sulla cima in tenda. Al nostro arrivo sta ancora dormendo. Non facciamo in tempo a realizzare di non essere i soli che una coppia, padre e figlio, raggiungono la cima poco dopo di noi. Mentre realizziamo quanto possa essere affollata una montagna alle 5 del mattino a Luglio, altri due uomini guadagnano la vetta. Giusto in tempo perchè lo stupore per il numero incredibile di persone ceda il passo alla meraviglia per l'alba che ci investe. Il cielo senza nubi ci regala una veduta completa di tutto ciò che ci circonda. Ne siamo travolti.
    Il momento di tornare indietro arriva rapido come l'alba appena passata. In un attimo ci troviamo di nuovo al Don Barbera dove Matteo, dopo il suo meritato riposo, ci fa compagnia per la prima colazione, anche se ormai noi altri saremmo da pranzo. Dopo esserci rifocillati e aver recuperato il materiale è il momento per metterci in cammino. Parliamo poco, complice il sole che ci sovrasta senza soluzione di continuità e la tristezza dell'ultimo giorno. La prima parte di questa camminata ci regala un paesaggio piacevole e pendenze tranquille. Anche troppo per i nostri gusti.
    Dopo aver gigioneggiato un po' e aver affrontato solo tratti in piano dove a farla da padrone ono state le chiacchiere e il caldo, più che la fatica di mettere un passo dietro l'altro, decidiamo che è il caso di dare una spinta anche a questa ultima giornata. Contro il parere di Matteo, che pur avendo riposato è ormai al limite, scegliamo una deviazione individuata da Luca, che vede nella traccia tratteggiata sulla mappa l'opzione migliore per arrivare a Limone. Di tutta evidenza parliamo di un sentiero poco battuto cui si accede costeggiando un bivacco pressocchè abbandonato. Davanti a noi si stagliano tre vette di cui accarezziamo l'idea di conquistare le cime. Non lo faremo, anche perchè pagheremo cara la nostra scelta. Per la prima tratta dobbiamo cercare di immaginarci il sentiero, dato che oramai ciè che ne rimane è stato fagocitato dalla vegetazione. Davanti a noi sfrecciano a ogni passo delle grasse marmotte che passano rapidamente da una piacevole compagnia a una noiosa tiritera. Nel mentre il sentiero ci da la prima frustata della giornata, conducendoci in una discesa feroce e continua che in alcuni tratti dobbiamo affrontare a saltelli e cercando di capire dove dovremmo andare a parare. É una discesa lunga, fastidiosa, faticosa e calda. Quando sembra ormai impossibile che questa tragedia finisca, vediamo finalmente dei sentieri più a valle. Tirando un sospiro di sollievo ne approfittiamo per ammirare le rocce del Cros che si stagliano alla nostra sinistra, dominandoci dall'alto e fornendoci una visuale invidiabile. Arrivati in fondo ci troviamo di nuovo a dover salire per guadagnare la cima di una piccola collina. Il sentiero è ancora piuttosto oscuro e coperto dall'erba, tanto che, una volta raggiunto uno dei pochi segnali sul tragitto, ci rendiamo conto di aver sbagliato strada rispetto alle previsioni della mappa. Dopo esserci mandati reciprocamente a quel paese per la situazione, anche condizionati dal caldo senza tregua, cerchiamo di recuperare il recuperabile. L'unica strada per farlo è raggiungere la cima del monte Jurin, che sarà l'ultima vetta che toccheremo, pure fuori programma. La salita, semplice rispetto alle altre vissute, si rivelerà foriera di acciacchi e fatica, tanto che per raggiungere la cima ci lanceremo in una disordinata corsa sui prati.
    Una volta arrivati veniamo rincuorati dalla visione di Limone sotto di noi. Allo stesso tempo ci riprende la solita tristezza delle cose che finiscono. Cerchiamo di affogare i nostri dispiaceri consumando l'ultimo pasto tutti insieme. La temperatura tropicale ci costringe a rimetterci in marcia per l'ultima fatica. Per arrivare a Limone ci aspetta quasi un kilometro di dislivello complessivo, tutto da fare in discesa. Le ginocchia urlano, le dita sanguinano e le imprecazioni servono a darci forza per arrivare fino in fondo. Se c'è qualcosa di bello durante la discesa non ci facciamo caso, siamo troppo impegnati a cercare di rimanere tutti interi.
    Arriviamo, dopo un tempo sicuramente più breve di quello percepito, alla strada che ci porterà a Limone, uno sterrato che raggiungiamo dopo esserci abbeverati insieme a una mandria di mucche e a un gruppo di interessanti individui intenti a grigliare sotto il sole. Bontà loro. Come tutte le cose che vengono per ultime, anche questa discesa sembra più lunga di quanto in realtà è. I miei piedi sono maltrattati peggio che quelli di una ballerina di danza classica dopo vent'anni di pratica. Fortunatamente prima di arrivare al traguardo incappiamo in un fiumiciattolo dove riusciamo a farci un bagno rigenerante che mi permette di arrivare fino in fondo.
    Ed è cosi che, dopo tre notti e quattro giorni arriviamo a Limone, metà del nostro viaggio e fine dell'epopea.
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