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- Jul 4, 2020, 11:00am
- ⛅ 15 °C
- Altitude: 2,300 m
- FranceLiguriaMendaticaSalseCima Missun44°6’2” N 7°41’43” E
Rifugio La Terza - Colle dei Signori - D
July 4, 2020 in France ⋅ ⛅ 15 °C
La mattina del terzo giorno per noi inizia prima dell'alba. Dopo una rapida colazione e con le ossa ancora indolenzite dallo scarso riposo della sera prima, ci rimettiamo in marcia. Usciti dal rifugio la montagna saluta la nostra presenza con un vento freddo e sibilante. Ci vediamo costretti a coprirci le orecchie per evitare conseguenze che in viaggio sarebbero nefaste. La tappa di oggi ci porterà su un percorso suggestivo ma faticoso. Redentore e Saccarello sono le nostre prime vette, talmente vicine che ci sembra di salirne solo una. Il nostro ultimo scampolo di Liguria prima di avventurarci nel regno Sabaudo. La buona notizia delle ultime ore del giorno prima si conferma in queste prime sgambate, mi sento molto bene. Rispetto al primo giorno sono un uomo nuovo, cammino spesso come primo della fila e non sento fatica. Anche i miei compagni di viaggio reggono bene l'urto. In particolar modo Matteo sta dando dimostrazione di uno spirito inaffondabile. Sulla cima del Saccarello il vento soffia come se fossimo in mare aperto. Fermarsi vuol dire congelarsi. Ci godiamo il panorama di corsa e ripartiamo. Come è ormai chiaro, decidiamo di passare per i sentieri meno battuti. Forse crediamo di fare prima, forse ci sentiamo furbi o forse vogliamo solo che il più possibile di questa impresa sia diversa da come l'avrebbe fatta chiunque altro. Fatto stà che per continuare il nostro percorso ci infiliamo in una collina con l'erba che ci arriva alle ginocchia. Il sentiero qui, più che una guida, è una continua intuizione. Fortunatamente vediamo il monte Missun davanti a noi e mancarlo è più difficile che arrivarci in cima. Usciti dal nostro personale percorso nel prato ci ritroviamo in alcuni metri da strada sterrata dove il vento ci da tregua. Ne approfittiamo per fermarci a rifiatare e facciamo la conoscenza di un vecchio tedesco, ormai trapiantato in Italia e sui suoi monti da diverso tempo. Ci racconta che è il creatore e responsabile di diverse croci che svettano sulle cime che ammiriamo nel tragitto. Anni addietro si è preso la briga di montarle e ora deve verificare che siano sempre presentabili e continuino ad essere di buon auspicio per i viandanti. É una di quelle cose che in montagna ti chiedi sempre, a chi sia venuto in mente di farsi la sfacchinata di portare su il materiale e piazzare i simboli della crisitanità fin lassù. Beh, adesso per alcune abbiamo la risposta in carne ed ossa. Salutiamo il nostro intrattenitore e ripartiamo. La strada adesso inizia a darci le prime frustate con salite che non lasciano spazio al dubbio e al temporeggiamento, un'esitazione di troppo e non riparti più. Una volta inziata una salita è meglio finirla piuttosto che fermarsi. Il panorama ci corrobora. Il tempo è meraviglioso e non corriamo il rischio di essere sorpresi dal maltempo. Questo ci da la calma e rende ogni nostro passo una scoperta. Nella strada verso il Missun oltre al panorama quello che ci colpisce è la flora. Nessuno di noi, lo Zio compreso, è un gran conoscitore dei fiori e dei loro annessi e connessi, ma non possiamo fare a meno di essere colpiti dai colori e dalle forme che ci circondano e che premiano la nostra fatica. Un'altro particolare del percorso sono le cavita nella roccia che continuiamo a notare. Siamo tutti troppo claustrofobici per farlo, ma chi si lancia nell'esplorazione delle viscere della terra sicuramente ne viene premiato. Arriviamo sotto la cima del Missun con relativa facilità. Ci fermiamo e insieme allo Zio e a Luca decidiamo di salire su senza zaini. D'altronde potremmo evitare di fare la cima e continuare per la nostra strada, ma perchè dire di no quando si è così vicini alla metà. Matteo, coraggioso ma saggio, decide di non seguirci e di risparmiare le energie per le sfide che ci aspettano. Saliamo sulla cima agili come stambecchi senza il peso degli zaini. Il vento è ancora sferzante ma riusciamo a goderci la salita e la cima. Arrivati su possiamo ammirare la croce lignea che il nostro recente amico verrà a controllare. Mentre scendiamo ci scambiano un sorriso proprio con questo artigiano d'alta quota di cui ammiriamo il passo e la volontà. Quando riprendiamo il cammino scorgiamo già la cima sfidante del Monte Beltrand. Da lontano sembra che ci inviti ad affrontarne l'ascesa, ma allo stesso tempo cerca di incuterci timore. Subiamo il fascino di quella vetta, posta sul confine franco-italiano, e non possiamo fare a meno di accelerare il passo. Dopo il Missun è tutta discesa. I miei piedi urlano dal dolore, ma a questo punto non posso che suggerirgli di stringere i denti, o qualunque cosa abbiano loro. Arriviamo di gran carriera in uno spiazzo di terra rossa da cui ci troviamo ben sotto alla cima del Beltrand. Si potrebbe pensare che le discese siano un momento di sollievo in montagna. La mia personalissima opinione è che siano l'inferno fatto a strada. Massacrano piedi e ginocchia e non fanno altro che abbastarti rispetto a dove devi andare, allungando e rendendo più complicata la salita successiva. Perdi dislivello che poi devi recuparerare. Meglio spianare o avere una salita più dolce. Fosse per me non scenderei mai. La salita al monte si presta a confusione, vediamo gruppi di escursionisti prendere sentieri dubbiosi, decidiamo di fidarci delle tracce che qualcuno avrà fatto per un motivo e partiamo. La prima parte dell'ascesa è agevole, vorrà dire che il resto sarà tremendo. Come ieri io mi sono attardato insieme a Matteo, oggi è lo Zio a farlo, con la differenza che io ieri ero stanco, oggi lui lo fa per dargli man forte mentalmente. Mi ritrovo davanti con Luca a fare da apripista. Camminiamo bene, l'aria adesso è una piacevole brezza e salire è una goduria. Arriviamo prima dell'ultima salita che ci porterà sulla cima, sarà tosta qundi ce la prendiamo comoda. Il pit stop ci permette di ammirare la fauna locale, avvistiamo diversi caprioli e qualche aquila. I primi si lanciano a rotta di collo giù da pareti verticali senza fare troppe storie, a differenza mia quando si tratta di scendere. É un buon auspicio vedere animali intorno a te anche senza cercarli troppo, vuol dire che la natura ti accoglie, peggio sarebbe non vedere movimento, lì sì che ci sarebbe da preoccuparsi. Ripartiamo, sappiamo che dobbiamo fare l'ultima salita in una botta sola, perciò si cammina senza troppe storie. La salita è una pietraia e ogni tanto tiriamo qualche sassolino a chi ci sta dietro, niente di grave ma a nessuno piace mangiare polvere. Come sempre nel nostro viaggio, le salite ci regalano ricompense che sentiamo di non meritarci. Finità la salita e poco sopra la vetta, si apre uno spiazzo da cui possiamo ammirare le catene montuose che ci circondano. É il quel momento che lo vediamo, che svetta sopra le nubi e sopra le altre montagne. Il re di pietra, il Monviso. Come un gigante in una valle di nani si staglia davanti a noi, spavaldo e radicato. Uno spettacolo per gli occhi che ci rende ancora più felici di essere lì. Come per il Missun, anche la cima del Beltrand non sarebbe obbligatoria, ma lui ci ha sfidato e noi dobbiamo accontentarlo. Sale anche Matteo, con il cuore delle grandi occasioni. Una volta in cima ci prendiamo un po' di tempo. Siamo molto in anticipo sulla tabella di marcia e ci interroghiamo se mangiare lì o meno. Alla fine decidiamo di continuare e di fermarci per il pranzo più tardi. Camminare finchè ne hai, dopo potrebbe essere tardi. Zaini in spalla e ripartiamo. Ci siamo lasciati dietro il grosso del tragitto con le ultime due cime. Ora ci aspetta una lunga discesa in terra francese e dopo l'ultima salita prima del rifugio e del Marguareis. Come sopra, la discesa è uno strazio ma almeno è visivamente bella. Scendiamo in mezzo agli alberi, a quest'ora ci fanno una piacevole ombra mentre camminiamo. Giunti a poca distanza dall'ultima salita decidiamo di fermarci per una pastasciutta al sugo e per far riposare le gambe. C'è sempre un'aura particolare intorno ai pasti in situazioni di fatica. Come se quello che mangiassi fosse sempre la cosa migliore del mondo. Per noi quella pasta è una leccornia da ristorante stellato. Solo che in un ristorante non avresti il mondo che abbiamo noi intorno. Con due soldi e a, relativamente, pochi passi da casa, ci gustiamo uno dei pasti migliori del mondo. Ci sentiamo dei privilegiati.
Come si può facilmente immaginare, la ripartenza dopo il pranzo è fiacca e rallentanta. Poco male, saggiamente l'abbiamo posticipata e ormai ci rimane poco da fare. Ancora un po' di discesa e ci prepariamo ad affrontare un'ultima salita. Ci sono salite che si mostrano subito per quello che sono, le preferisco, non puoi farti illusioni, sai come e quanto dovrai camminare. La salita che abbiamo davanti non è di quella pasta. Rimane nascosto per la maggior parte della sua estensione e vista da lontano sembra dolce e affabile. Non si tratta nemmeno di una salita tremenda. Ma è lunga, lunga e non se ne vede mai la fine. Forse il pranzo sullo stomaco contribuisce a farci tribolare, ma arrivare in cima è una faticaccia per tutti. Ci lascia un po' di amaro in bocca, ma dopo che la terminiamo il sapore della rivalsa ci premia. L'ultimo chilometro dopo la salita è puro escursionismo della domenica tanto piano e un'ultima discesa per il Don Barbera. Vedendolo dall'alto è sicuramente bello, con il Marguareis alle sue spalle coperto dalle nubi, ma è pieno di gente. Fino ad adesso il nostro tragitto è stato quasi solitario, ma negli ultimi chilometri abbiamo iniziato a incontrare più gente. Ce ne dispiacciamo, sappiamo che la montagna non è nostra, ma abbiamo perso un po' della sacralità di prima. Prima di scendere ammiriamo il marguareis. Serpeggia fra di noi la voglia di conquistare anche quella vetta. La domanda è sul quando. Andare adesso, dopo aver lasciato gli zaini in tenda, o andare domani mattina con le tenebre per goderci l'alba prima di partire alla volta di Limone? Le nubi che stanno intorno alla cima rispondono per noi, andremo domani mattina. D'altronde ha poco senso salire per non vedere nulla.
Arrivati al rifugio montiamo le tende e ci premiamo con delle birre fredde. Dopo passiamo qualche ora stesi sui prati ad avvistare marmotte. Parliamo poco, la montagna lo fa per noi. Ceniamo in rifugio insieme agli altri camminatori. Trovarsi in mezzo a questi rocamboleschi compagni di avventure ci fa stare bene. Beviamo qualche bicchiere dopo cena e andiamo a dormire solo dopo aver ammirato il cielo stellato e senza nubi sopra di noi. Domani ci dovremo svegliare prima del sole per arrivare in tempo sul Marguareis. Matteo ha deciso di non seguirci nella nostra avventura. Ci aspetterà per colazione, ha già chiesto tanto a se stesso e non vuole esagerare. Andiamo a dormire eccitati per la partenza notturna dell'indomani. Nel nostro sonno c'è però un retrogusto amaro. Domani si torna a casa e questa bolla nella montagna è destinata a scoppiare. Anche questa notte dormiremo poco.Read more