Un viaggio zaino in spalla alla scoperta di risaie, isole, fiumi e improbabili noodles. Read more
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  • Day 10

    Le risaie di Hoi An

    March 24, 2023 in Vietnam ⋅ ☀️ 31 °C

    È la prima mattina dall’inizio del viaggio che facciamo colazione con calma.

    Abbiamo deciso di saltare a piè pari le lezioni di cucina o le barchette a mezza sfera che proponeva l’albergo. Pensiamo sia saggio rallentare un po’ il ritmo del viaggio, dopo aver visto come gli ultimi giorni di corsa hanno ridotto lo stomaco di Poli (domandandoci se non fosse stato l’hamburger discutibile mangiato la prima sera a Tam Coc). Non è ancora al cento per cento e mentre noi ci sfondiamo di omelettes, croissant e fagioli al pomodoro, lui si accontenta di un the caldo.

    Non avendo programmi particolari, ma proponendoci di fare comunque qualcosa, decidiamo di noleggiare le solite due moto a 4€ e ci spostiamo di qualche chilometro a nord della città, per visitare le Marble Mountains.
    Durante il percorso non possiamo che notare i cantieri di alberghi enormi e nuovissimi che danno sul mare, spesso accanto a palazzi giganti mai finiti e disabitati. Avvicinandoci poi alla montagna cominciano ad apparire per strada alcuni negozi di statue di marmo raffiguranti Buddha, dei indù e leoni cinesi, dalle statuette piccoline da giardino a bestie enormi alte quattro metri.

    L’entrata alle Marble Mountains è presidiata da signore locali che, pur di farci parcheggiare accanto al loro baracchino e mangiare qualcosa, si lanciano di prepotenza in strada, seguendoci di corsa e rischiando di essere investite. Cediamo alla fine ad una di queste: le diamo neanche il corrispettivo di un euro per parcheggiare le moto ed entriamo nella montagna.
    La grotta che si apre di fronte a noi è stupenda: alta, maestosa, ricorda una cattedrale naturale, con piccoli santuari qua e là.

    Anche qui però il turismo di massa è arrivato, tanto da farci scappare in fretta sgusciando tra una comitiva di giapponesi chiassosi e un'altra.

    Torniamo delusi in hotel e, senza sentirci in colpa, ci buttiamo in piscina a rilassarci fino a pranzo. Mangiamo un club sandwich al volo e riprendiamo i motorini per tornare nel negozio delle sarte, per provare i modelli dei nostri vestiti su misura probabilmente cuciti durante la notte. Facciamo un po’ i fashion blogger nei camerini, ci facciamo aggiustare qualche punto e usciamo increduli alla notizia che le sarte ci avrebbero fatto recapitare tutto finito in albergo entro sera.

    Inforchiamo nuovamente i motorini e ci spostiamo appena fuori dalla parte abitata di Hoi An, dove si apre una distesa di risaie bellissima. Sono quasi le quattro, e ormai non ci facciamo più fregare dalla golden hour anticipata.
    Percorriamo così una stradina sterrata tra le risaie e ci fermiamo a scattare foto accanto ad uno stagno, rovinando la tranquillità di un paio di bufali in ammollo.

    Ci dirigiamo quindi verso il mare. Il sole è scomparso tra la foschia umida quando arriviamo in spiaggia: ci sono poche persone ancora, varie barchette semisferiche a riva, qualche bambino che gioca sul bagnasciuga, un padre e un figlio che dislegano una rete da pesca. È una situazione strana, rilassata, quasi malinconica. Immersi nel vento che viene dal mar cinese del sud, camminiamo senza quasi dirci una parola. Forse perché Poli aveva di nuovo stimoli da cagotto, ma alla fine il momento era anche magico così.

    Beviamo una birra al volo in un bar su palafitte poco lontano dal mare e poi di nuovo in albergo per un’altra doccia prima di cena in centro, illuminato un’altra volta dalle lanterne colorate. Facciamo volare il drone sopra il canale e passiamo in rassegna il mercato, facendoci pregare dalle negozianti di comprare qualsiasi cosa a prezzo stracciato.
    Finiamo la serata in un ristorante vegano, mangiando tutti benissimo tranne Poli, solito sfortunato che si ordina un piatto di riso con il tofu che sa da pesce.
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  • Day 11

    Il museo di Ho Chi Min

    March 25, 2023 in Vietnam ⋅ ⛅ 33 °C

    È il compleanno di Paolino, e purtroppo l’ultima mattina a Hoi An.

    Io e Poli ci svegliamo presto per beccare il sole appena sorto sulle risaie e fare qualche video con l’FPV.
    Poli sta decisamente meglio: ogni tanto ha ancora principi di cagotto ma ride e scherza come il suo solito.

    Facciamo una ricca colazione e prendiamo il taxi dell’albergo che ci porta in aeroporto a Da Nang. Questa volta check-in veloce, imbarco, volo e atterraggio senza quasi sentir passare il tempo.

    A Ho Chi Min abbiamo poco meno di quattro ore, perché poi avremmo dovuto prendere un bus per Can Tho, nel Delta del Mekong.

    L’unica cosa che reputiamo interessante da vedere in città, nel poco tempo a disposizione, è il museo della guerra del Vietnam.
    Dovevamo però prima smarcare una serie di complicazioni:
    Primo, avevamo fame e le continue insistenze di qualcuno sul mangiare un veloce Burger King cominciavano ad avere senso.
    Secondo, dovevamo trovare un posto dove mollare gli zaini pesanti perché, ovviamente, con il caldo era improponibile girare la città completamente carichi.
    Terzo, il museo, la stazione dei bus da dove saremmo dovuti ripartire e il Burger King erano in tre parti diametralmente opposte della città.

    Decidiamo così di prendere un Grab fino alla stazione degli autobus: lasciamo alle signorine del check in gli zaini in custodia pregando di ritrovarli al ritorno, riprendiamo un altro Grab fino al museo con la speranza di trovare qualcosa da mangiare attorno.
    Fin qui ci sentiamo super organizzati. Ma inciampiamo incomprensibilmente sul cibo: accanto al museo non c'è nulla di "commestibile" che non viene servito nel brodo. E non abbiamo certo il tempo per sederci a tavola.

    Entriamo così nel museo senza pranzare e forse, con il senno di poi, è stata la scelta migliore.
    Il cortile del museo è pieno di vecchi aerei, elicotteri e carri armati americani utilizzati nella guerra, ma ciò che ci rimarrà più impresso è sicuramente quello che troviamo al suo interno: una enorme raccolta di testimonianze fotografiche della vera e propria invasione assassina statunitense nel Vietnam, di torture ben oltre i limiti dell’umano, di villaggi rasi al suolo, di gas e veleni sparsi dal cielo che hanno causato nascite di generazioni di bambini malformati. Immagini crude, violente. Abbiamo ringraziato di non aver trovato nulla da mangiare prima di entrare.

    Usciti moralmente provati dall’esperienza del museo, ci accorgiamo di avere poco meno di tre quarti d’ora per presentarci alla stazione dei bus e partire. Prendiamo quindi un Grab al volo, che ci porta al Burger King più vicino. Mangiamo in fretta e furia col terrore di essere lasciati a terra dal pullman.
    Altro Grab fino alla stazione ma l’applicazione sbaglia indirizzo e veniamo mollati a 500 metri dalla nostra destinazione. Corriamo allora nel traffico impazzito di motorini, passando di fronte a negozi di animali, una chiesa con le porte aperte e la gente che segue la messa seduta sui motorini fuori, bancarelle, motorini impazziti e clacson… Arriviamo alla stazione degli autobus alla fine con largo anticipo.
    Prendiamo infine un bus notturno in direzione Can Tho, distesi di nuovo su cuccette scomode con l'aria condizionata in faccia, mentre scende la sera sulla città.
    Saigon (ribattezzata Ho Chi Min in onore del presidente vietnamita che ha condotto il paese all'indipendenza dagli invasori americani) avrebbe forse meritato qualche ora di visita in più, forse addirittura una notte per scoprirne la vita vibrante, di cui consigliano le guide.
    Ma in Vietnam le distanze tra un punto e l'altro sono lunghe e i night bus sono in assoluto la soluzione più economica per percorrerle... solo che ci mettono di più.

    Arriviamo alla stazione dei bus di Can Tho che sono ormai le dieci di sera, senza apparente fame. Solo voglia di sdraiarci a letto.
    Il Bamboo Eco Lodge si era raccomandato di prendere lo shuttle gratuito della stazione fino ad un indirizzo in città, dove la loro navetta ci sarebbe venuta a prendere. Non abbiamo voglia di attendere lo shuttle: contrattiamo un taxi e ci mettiamo subito in marcia per il centro.
    Entriamo così in una città vuota, buia e deserta. Qualche motorino in croce ma eravamo convinti di trovare Can Tho più movimentata.
    Veniamo mollati dal taxi nel punto indicato dall'hotel, nel bel mezzo di una viuzza buia e spettrale.
    Pochi minuti dopo però, dal nulla sbuca una golf car, guidata da un tizio che ride ogni due secondi. Partiamo a bordo della golf car, immergendoci nell'oscurità totale. Nel buio vediamo poco, riusciamo a capire però che stiamo costeggiando un fiume: la strada si fa sempre più stretta in mezzo alla natura tropicale, illuminata ogni tanto da lampioni bianchi. Ci fidiamo però del pilota che non sembra battere ciglio anzi, ad ogni scossone ricomincia a ridere. Inquietante.
    Arriviamo finalmente di fronte all'hotel: un complesso bellissimo costruito tutto con canne di bamboo, con lampioncini a terra e lucine appese ovunque. Le camere sono bellissime, affacciate ad un fiumiciattolo pieno di pesci giganti. Il bagno è esterno alla camera e fare la doccia con i gechi che ti guardano minacciosi è un’esperienza indimenticabile.
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  • Day 12

    Il mercato galleggiante di Can Tho

    March 26, 2023 in Vietnam ⋅ ☀️ 35 °C

    La sveglia suona alle 4:50.
    Presto. Prestissimo. Ma necessario.
    Can Tho è famosa per il suo mercato della verdura su barche. Un'esperienza di cui abbiamo letto tanto, con però un unico, scomodo particolare. Il mercato si svolge solamente alle prime ore dell'alba. Pensare di trovare qualcosa a metà mattinata era impossibile.
    Anche lo staff gentilissimo dell'albergo, che ci aveva atteso con ansia la sera prima, ci aveva avvertito della cosa. Di non partire più tardi delle cinque se volevamo riuscire a vedere il mercato fluttuante.

    Per cui, terribilmente assonnati, usciamo dalle camere alle cinque del mattino, trovandoci immersi nel buio con cui eravamo arrivati la sera prima.
    Inforchiamo le biciclette messe a disposizione gratuitamente dall’albergo e ci buttiamo di corsa sulla stradina stretta nella natura che costeggia il fiume. Man mano che arriviamo alla strada asfaltata vediamo come l’intera città sia già sveglia e brulicante ancora prima dell'alba.

    Scorgiamo i classici baracchini, con i locali che cucinano pollo e noodles, gente che beve caffè seduta sulle seggioline di plastica in strada o all’interno di stanze disastrate, illuminate solo da una lampadina fredda. Anziani che fanno ginnastica sul posto, mentre aspettano che venga preparato il loro bahn mi mattutino.

    Mi godo ogni secondo di questa pedalata, nel crepuscolo dell’alba, quando il mondo non sa che esistiamo, ma sono lì presente, libero e curioso. È una sensazione che non dimenticherò mai.
    Il sole sta sorgendo, quando arriviamo finalmente nel centro di Can Tho, alla ricerca del famoso mercato galleggiante. Costeggiamo per un pò uno degli affluenti del fiume Mekong, scorgendo già le prime imbarcazioni piene di turisti con addosso i giubbotti di salvataggio arancioni. Non capiamo però dov’è il mercato, come ci si arriva, cosa bisogna fare per visitarlo.

    Grazie a Google translate però, ci viene data indicazione da un passante: attraversiamo il ponte principale della città mentre il disco rosso del sole si alza lentamente sul Mekong. Uno spettacolo mozzafiato.
    Raggiungiamo la stradina che costeggia il mercato, troviamo sul lato l'entrata di un capannone che offre parcheggio, ma non abbiamo troppo tempo da dedicare ad un giro in barca completo: dobbiamo essere di nuovo in albergo alle otto, per prendere il trasporto che ci accompagnerà ad Ha Tien. Così chiediamo se è possibile fare un giro di una mezz’ora veloce.

    Per 400mila dong (4€ a testa) una vecchietta simpaticissima ci fa salire sulla sua barchetta e ci porta in mezzo al mercato fluttuante.
    Impazziamo: ad ogni angolo dove giravamo lo sguardo c'era una foto pazzesca da fare. Barche piene di verdure che si approcciano una all’altra per contrattare, altre invece che si attaccano a quelle dei turisti per vendergli bibite e cibo in scatola.
    La "vecia" a gesti eloquenti ci propone di fare colazione, così in men che non si dica si attacca ad una barca “ristorante” e, senza poter dire una parola, ci troviamo con in mano un piatto di noodles di riso in brodo, con erbe e peperoncino. I più buoni mai assaggiati nella mia vita.

    Per un altro secondo mi fermo a contemplare quel momento unico: sopra una barchetta di legno, pilotata da una vecchia che ride come una matta, a mangiare noodles piccanti in brodo, serviti da una barca a cui eravamo solamente accostati, nel bel mezzo del mercato fluttuante di Can Tho alle sei del mattino. Non so definire esattamente cosa ho percepito, se felicità, spensieratezza, libertà, vita... forse tutto assieme. Piangevo. E no, non era dovuto al piccante.

    Attracchiamo di nuovo, libero per qualche minuto il drone facendo vedere alla vecia il mercato dall’alto e inforchiamo veloci le biciclette per tornare in hotel.

    Passiamo di nuovo per le strade di Can Tho, ormai sveglie da due ore e brulicanti di vita. Baracchini di cibo fritto, anziane sedute a terra che vendono verdure, motorini, biciclette. Il Delta del Mekong ha i tratti di un vecchio villaggio portuale immerso nella natura, in cui la modernità è arrivata di colpo e ha cercato di stravolgere tutto.

    Arriviamo in hotel già pregustando la colazione ma scopriamo che da lì a poco sarebbe arrivato il taxi per portarci alla stazione dei bus, tutto gentilmente organizzato dai ragazzi della reception a cui dobbiamo un favore enorme.
    Ci laviamo così di corsa (ah si ovviamente, in tutto questo umidità massima e pedalare mezz’ora ci aveva già pezzati a dovere) e carichiamo sulla golf car gli zaini, per intraprendere svelti di nuovo la stradina stretta accanto al fiume e arrivare finalmente al taxi.
    Il conducente di quest'ultimo invece sembra non aver compreso la nostra fretta: musichetta caraibica, aria condizionata a cannone e tutta tranquillità, mentre noi schiumiamo all’idea di perdere il trasporto.
    Arriviamo in stazione dei bus esattamente un minuto prima che il pullman chiudesse le porte: carichiamo gli zaini al volo, ci togliamo come sempre le scarpe per salire e ci lanciamo sulle cuccette vintage mentre già vediamo il parcheggio dietro di noi.
    Il viaggio in pullman questa volta non è per niente rilassante. L’autista supera chiunque come un forsennato e per quattro ore non abbiamo sentito altro che il suo clacson sparato, misto al richiamo di un gallo che scopriamo essere poi stato messo in stiva assieme a decine di pulcini. Ma anche correndo all’impazzata, il pullman ci stava mettendo troppo.

    Siamo partiti con larghissimo anticipo, ma le tre ore e mezza di tragitto previste diventano subito quattro e poi quattro e mezza. E cominciamo a preoccuparci seriamente di mancare la coincidenza del traghetto per Phu Quoc alle due meno un quarto.

    Così provo di tutto, da pregare l’autista e la responsabile di viaggio di accelerare o quantomeno farci portare al molo ricevendo solo insulti, a contattare su Facebook la compagnia dei ferry chiedendo disperato di aspettarci.
    Arriviamo alla stazione dei bus di Ha Tien alle 13:35 (dieci minuti prima della partenza). Lontana due chilometri dal molo. Impossibile a piedi con gli zainoni e il caldo.

    Ci lanciamo letteralmente dentro un taxi e, ordinandogli “Schumacher”, questo capisce al volo e corre come un pazzo. Arriviamo al molo, 13:37. Facciamo gli ultimi cento metri di corsa con gli zaini sulle spalle, proprio come Pechino Express.

    Saliamo a bordo. Ce l’abbiamo fatta.

    Il ferry parte precisissimo alle 45. Usciamo sul ponte di poppa per goderci il sole, il vento e il mare, soddisfatti al pensiero di aver concluso una traversata dal nord al sud del Vietnam bellissima quanto intensa: abbiamo visto posti incantevoli, che solo a ripensarli sembrano passati dei mesi. Abbiamo mangiato di tutto, affrontato problemi e avversità insieme. Siamo stati letteralmente su qualsiasi mezzo di trasporto possibile: aerei, un treno notturno, dei pullman con cuccette, taxi, suv, furgoni, abbiamo guidato motorini e biciclette, abbiamo navigato su barchette di legno, kayak, su uno yacht extra lusso e ora siamo su una motonave, in direzione della nostra ultima e tanto agognata meta: l’isola tropicale di Phu Quoc.

    Il viaggio in traghetto dura poco più di un’ora: all’arrivo c’è ad attenderci un ragazzo con la navetta per il resort Ocean Bay. Attraversiamo l'isola e, non appena entrati nel resort, ci si apre davanti a noi un totale paradiso.
    Veniamo scarrozzati con una golf car enorme alla nostra villetta con piscina fronte mare. Ordiniamo birre e patatine e ci godiamo un tramonto bellissimo in un posto altrettanto irreale.
    Ceniamo nel ristorante dell’albergo vestiti con le nuove camicie su misura di Hoi An, ma siamo talmente stanchi dalla levataccia e dalla giornata intensa che io mi addormento praticamente sul piatto. Ci spariamo a letto, con il rumore delle onde in sottofondo.
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  • Day 13

    Il mare di Phu Quoc

    March 27, 2023 in Vietnam

    I due giorni successivi sono di totale e semplice relax. Passiamo dal fare bagni lunghissimi nel mare più caldo che abbia mai provato a sguazzare nella nostra piscina privata. Prendiamo il sole (troppo) e ci godiamo le birre offerte dalla reception per scusarsi del cantiere rumoroso accanto a noi.

    La seconda sera a Phu Quoc sostengo un colloquio con uno studio di Londra e, per festeggiare la riuscita, beviamo qualche Long Island di troppo.

    Non completamente appagati del ristorante del resort facciamo sempre affidamento al Gecko, il bar appena fuori con burger apocalittici e club sandwich.
    L’ultima sera ci convinciamo ad uscire dall'Ocean Bay: prendiamo un Grab fino al centro del villaggio di Phu Quoc scoprendo un gigantesco mercato notturno pieno di bancarelle. C'è di tutto: i classici souvenir visti in tutto il Vietnam, enormi banchi di pesce nauseabondo, baracchini dove ragazzini-ninja preparano delle specie di coppette gelato, triturando velocemente con due spatole dello yogurt assieme a frutta sopra una piastra fredda.

    Come sempre la battaglia per decidere la cena si fa difficile e come sempre finiamo in un ristorante vegano, dove mangiamo carne finta quasi malvolentieri.

    Proviamo infine il mitico Celano, il gelato a forma di pesce che Paolino aveva già adocchiato dal primo giorno. Immangiabile.
    Torniamo al bar dell’albergo, whisky sour contemplando il mare notturno e a nanna.
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  • Day 15

    Tornando a casa

    March 29, 2023 in Vietnam ⋅ ☁️ 25 °C

    La mattina presto vengo svegliato da uno scroscio improvviso, guardo fuori dalla stanza e vedo il mio primo monsone. Avrà piovuto fortissimo per neanche un minuto, con sole e nuvole attorno. Poi ha smesso, e tutto si è asciugato in men che non si dica.
    Dieci minuti dopo hanno ricominciato i lavori dietro la villa. Quanto li abbiamo odiati.

    Ultimo bagno in mare, ultima colazione e di nuovo ultimo bagno in piscina, prima di cambiarci ed essere accompagnati dalla golf car all’uscita del resort. Strappiamo 50€ di sconto dal manager Trung per il disturbo del cantiere e ci facciamo offrire il taxi fino all’aeroporto di Phu Quoc.


    L’aereo per Hanoi è veloce con addirittura il pranzo a bordo, ma siccome io e Paolo non avevamo dato istruzioni al check in, ci è toccato solamente un misero quadrato di dolce schifoso.

    Ci rifacciamo però all’aeroporto di Hanoi, dove proviamo il geniale panino vegetariano del Burger King, con tre mozzarelle fritte al posto della carne.
    L’attesa in aeroporto è noiosa, ma alla fine ci imbarchiamo e lasciamo così il Vietnam.

    Sei ore di coma per arrivare in Qatar a mezzanotte e riprendere poi un secondo aereo, mezz’ora dopo, per Milano.

    Tra un film e l’altro, nel dormiveglia scomodo dell’aereo, ho cercato di trarre tra me e me le conclusioni di questa avventura così diversa e così sorprendente rispetto a tutte quelle che ho vissuto finora.

    Eravamo partiti domandandoci se fossimo stati in grado di reggere un viaggio zaino in spalla. La risposta è assolutamente si.
    Affascinato dalle storie, dalle testimonianze (e un pò da Pechino Express) mi ero convinto prima di partire che il nostro viaggio non sarebbe stato un vero e proprio "zaino in spalla" come si deve, avendo prenotato la maggior parte dei trasporti e alberghi prima di partire. Ero sicuro che non avremmo percorso tanta strada con gli zaini pesanti sulle spalle… e invece mi sbagliavo.

    Non è detto che un viaggio zaino in spalla, per chiamarsi tale, non possa essere pieno di trasferimenti sui mezzi: abbiamo cambiato trasporto un sacco di volte, viaggiando oltretutto su qualsiasi veicolo conosciuto.
    Abbiamo contrattato spesso gli spostamenti, come spesso abbiamo dovuto trovare il modo di arrangiarci senza aver programmato ogni singolo passo.
    Per quanto poi possa sembrare stressante, il fatto di vivere queste avventure giornaliere mi ha trasmesso una carica e una sicurezza che mai avevo provato in vita mia e che, lo ammetto, mi ha fatto pensare più di qualche volta di posticipare o addirittura perdere il volo di rientro, ma c’erano troppi impegni che ci aspettavano a casa.

    Altra sicurezza di questo viaggio sono stati indubbiamente Veronica e Lorenzo. Non è mai scontato trovare dei compagni di viaggio così “compatibili”: amici già da tempo, abbiamo trovato fin da subito il ruolo che ognuno di noi ricopriva nel gruppo e siamo cresciuti insieme, imparando a conoscerci nei momenti alti e bassi.

    Abbiamo saputo affrontare situazioni di più o meno emergenza sempre insieme e questo è un grande merito per tutti noi (pacca sulla spalla).
    Il Vietnam super economico sicuramente ci ha dato una mano enorme: l’idea di spostare un volo e prendere all’ultimo un albergo non spendendo più di 50€ a testa, sarebbe follia pura nel resto del mondo.
    Invece in Vietnam la vita costa decisamente poco, il che ti consente di prendere questo tipo di decisioni e di non privarti di esperienze solo perché devi guardare il portafoglio.

    L'altro lato della medaglia, secondo la mia impressione, è che questa economia più debole sia una delle cause del turismo di massa presente in questo stato. In Vietnam ci sono tanti, forse troppi turisti.
    Non so dire se la nostra percezione sia in qualche modo deviata dal fatto che, per il poco tempo che abbiamo passato qui, abbiamo visto solamente le principali mete turistiche, ma la sensazione è che questo paese ne abbia fatto quasi la sua prima fonte di ricavi.

    Ricordo la delusione vedendo gli infiniti cantieri per costruire ancora più alberghi sulle colline di Sa Pa, i bambini addestrati spudoratamente per adescarti e venderti bigiotteria, le decine di navi da crociera come la nostra attraccate nella baia di Ha Long, che vengono foraggiate ogni giorno da nuovi gruppi. Le orde di barchette chiassose a Trang An, le bancarelle e le strade straripanti di Hoi An, le decine di chiatte cariche di persone che si ammassano nel mercato galleggiante di Can Tho.

    I turisti sono stati sicuramente un rumore di fondo costante del viaggio eppure, in alcuni momenti, il fatto di stare noi quattro insieme, di vivere e osservare con occhi meravigliati solo cosa c’era attorno a noi, faceva si che il rumore di fondo si appiattisse e lasciasse spazio a luoghi incantati, fiumi poetici, risaie di un verde acceso mai visto in tutta la vita.

    L'ultimo pensiero va però alle incredibili persone di questo strano e affascinante paese: come sempre, non tutti vogliono venderti qualcosa per forza ma tutti ti si rivolgono con un sorriso, che sia per consentirti di far volare il drone in uno dei posti più belli della terra o per chiederti se vuoi assaggiare una zuppa di noodle alle sei e mezza del mattino.

    Viaggiare il Vietnam zaino in spalla è stato un privilegio enorme: un inno a scoprire il mondo in maniera più diretta e partecipata, un invito a ripartire il prima possibile con la fame di vita e di ciò che inaspettatamente può accadere.
    Grazie a Lorenzo e Veronica, della vostra naturalezza e simpatia, della vostra intraprendenza nel gettarvi in qualsiasi cosa senza stanchezza, della vostra forza come coppia.
    Grazie a Paolo, che come sempre mi prendi in giro per i miei giudizi e pensieri sul mondo che osservo, ma so per certo che li fai anche tu e che hai fame come me di ripartire.

    
Atterriamo a Malpensa alle sette del mattino.
    Rimbambiti, con le schiene e le spalle bruciate da tre giorni di sole. Recuperiamo gli zaini, la macchina e ci spariamo tre ore e mezza di autostrada per Bassano, dove ci fermiamo a mangiare finalmente una pizza decente.
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