Guatemala

August 2022 - January 2023
A 163-day adventure by Leonardo Read more
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  • Day 22

    Intossicazione

    September 12, 2022 in Guatemala ⋅ 🌧 19 °C

    "Non resta che lasciare che la vita compia le sue magie" scrivevo più o meno. Forse l'intossicazione alimentare che mi sono preso è stata un po' magica in effetti, sbucata così, dal nulla come un cimice in autunno, o forse è stata semplicemente colpa dell'acqua. Spero di ricordarmi di non dare mai più per scontato il privilegio di poter usare l'acqua del rubinetto, e non tanto per bere, quello è un lusso anche in Italia, ma per esempio per lavarsi i denti. Fatto sta che, non so bene come, forse davvero l'acqua o forse qualche cibo avariato, giovedì scorso ho vomitato all'improvviso, a getto, su una moto parcheggiata fuori da un locale in cui stavo facendo serata con alcuni colleghi. Fortuna vuole che solo un bodyguard abbia visto la scena e si è pure messo a ridere, probabilmente pensando che fossi ubriaco, ma no, avevo a malapena bevuto una birra, giusto per non addormentarmi mentre giovani guatemaltechi cantavano a squarciagola le loro canzoni latine preferite al karaoke. Ma quella ormai è un'altra storia che rapidamente è diventata la storia di come un'intossicazione alimentare colpisce quando meno te l'aspetti. Tornato a casa ho iniziato a stare davvero male. Una notte non facile. Speravo di svegliarmi il giorno dopo e di stare meglio ma non è stato così. Il giorno dopo mi è salita la febbre e credo anche molto alta. La notte tra venerdì e sabato non c'era medicina in grado di abbassarmela ma grazie a dio il medico prima di partire mi aveva prescritto degli antibiotici proprio per queste occasioni. Quando si viaggia in luoghi non proprio all'avanguardia dal punto di vista igienico si rischiano intossicazioni, si sa, e ora ne sono l'esempio vivente. Sono passati ormai 4 giorni e sto un po' meglio ma non ancora benissimo. Fatico a stare troppo in piedi e a fare cose in generale, tipo scendere e salire la scale che dal letto mi porta al bagno o alla cucina. Non ho molto appetito e mangio poco, più o meno solo la mattina. Cerco di bere tanto e mangiare frutta. Almeno la disidratazione la vorrei evitare. La mia pancia e il mio stomaco non sono ancora sanissimi e a volte mi danno un po' di noia ma niente di insopportabile. Vedremo come andrà a finire.Read more

  • Day 27

    Pacasss

    September 17, 2022 in Guatemala ⋅ 🌧 19 °C

    MINIPACA
    MAXIPACA
    MEGAPACA
    GRANPACA
    Sono dei nomi che vedo spessissimo sulle insegne o su dei cartelli scritti a mano fuori dai negozi. Sono ovunque e sono quello che in Italia si chiamerebbe: negozio di vestiti usati. Ma una PACA è mooolto di più. Una PACA è dove puoi trovare di tutto, dai vestiti, scarpe e accessori fino a lenzuola, coperte, pentole, accessori, miscellanea e chi più ne ha più ne metta. Rigorosamente tutto di seconda mano. Per me, e chi mi conosce bene lo sa, è il paradiso dello shopping. Se non fosse che me ne vado tra 4 mesi e che non ho spazio in valigia e che spedire un pacco in Europa è quasi inaccessibile, starei tutto il giorno comprando vestiti di marca ed in condizioni ottime a prezzi stracciati. Levi's a 10 euro, Patagonia a 7 euro, North Face come se piovesse, Columbia, Nike, giacche vintage, scarpe praticamente nuove, utensili da cucina a prezzi stracciati ecc. Tutto ciò che ho sempre desiderato, vicino a casa. Una Bologna all'ennesima potenza. Qui se uno non sa cosa fare della sua vita apre una PACA. I vestiti arrivano letteralmente impacchettati e sotto vuoto dai paesi più sviluppati, alcuni sono resti di negozio, altri sono quei resi che si fanno perché non ci va bene la taglia e che ancora hanno l'etichetta. Ovviamente il momento migliore per andare in una PACA è appena allestiscono i nuovi arrivi. Di solito c'è un cartello fuori con un countdown all'apertura con i nuovi arrivi. Tutti rigorosamente selezionati e prezzati. Devo trattenermi dal comprare di tutto perché sto già spendendo parecchio.Read more

  • Day 31

    Pensieri pesantiii

    September 21, 2022 in Guatemala ⋅ 🌧 19 °C

    Oggi sono stato invitato a prendere parte a una conferenza per sole donne indigene di etnia Q'eqchi'. Questa etnia è la più diffusa in questa zona del Guatemala e come la maggior parte delle varie etnie presenti in questo paese (più di 20 differenti), è anch'essa direttamente discendente degli antichi Maya. Questi popoli stanno lottando per poter formare una nazione Q'eqchi' e riprendere possesso delle loro terre che molto spesso il governo vende a compagnie internazionali per farne coltivazioni di palma da olio, o di canna da zucchero, o miniere di metalli preziosi. Non possiamo capire noi occidentali il tipo di rapporto che queste persone hanno con la terra, con la natura. Per loro è parte stessa dell'umanità e del loro corpo, un'estensione della loro anima. È facile quindi capire la disperazione quando la polizia o l'esercito arriva nelle loro case fatte di legno e lamiera e gli dice che se ne devono andare e che se non lo fanno allora useranno la violenza. E la usano, a costo di uccidere. Il governo dice che è per il bene comune, per il progresso del paese, per la crescita del PIL, ma c'è davvero qualche valido motivo che possa giustificare un tale abuso di potere e la sottrazione forzata di terre? Io non credo. Palma da olio, canna da zucchero, metalli preziosi, tutte risorse che non servono a questo popolo ma che servono a noi per farne prodotti da vendere al supermercato o pannelli solari e batterie per continuare in una transizione ecologica pericolosamente in bilico tra sostenibilità vera e sostenibilità di facciata. E lo sto dicendo io che sostengo una rapida transizione lontano da fonti fossili. Ma mi chiedo, c'è qualche soluzione che sia veramente sostenibile al 100%? è possibile sostenere la domanda globale di energia facendo affidamento a batterie e metalli la cui estrazione richieda un sopruso dal punto di vista dei diritti umani? qual è l'alternativa? andare inesorabilmente incontro all'aggravamento dell'emergenza climatica?
    Io sono stato invitato per spiegare a queste donne, in poche semplici parole, cos'è il cambiamento climatico e cosa si sta facendo in Italia per contrastarlo. Come glielo spiego che il cambiamento climatico l'abbiamo creato noi con il nostro stile di vita che sempre ricerca più benessere, più prodotti, più consumi, più energia, più viaggi, più e più e più e più? come glielo dico che le inondazioni, gli uragani anomali dell'anno scorso, gli incendi, le siccità e le pandemie sono direttamente correlate al nostro stile di vita capitalista? con che coraggio io dico loro che per vivere sostenibile devono fare la raccolta differenziata e non bruciare i rifiuti? con che coraggio spiego loro che le aziende che gli rubano la terra sono le stesse che gli daranno lavoro ma condannandoli a dipendere dai supermercati e quindi dal capitalismo e quindi ad entrare nello stesso sistema di produzione che gli sta portando via le case? come spiego loro che il miglior modo per essere sostenibile è accontentarsi di quello che hanno e non cercare di vivere con i comfort occidentali?
    Mi sono sentito molto a disagio perché l'unica soluzione che avevo da offrire alle loro sofferenze era: ci dovremmo pensare noi a voi. Ci dovremmo pensare noi a lottare perché i prodotti che acquistiamo rispettino i vostri diritti e le vostre terre. Ci dovremmo pensare noi a richiedere che il nostro sistema sociale non gravi sulle vostre spalle. Ci dovremmo pensare noi a darvi il sostegno economico per rimediare ai danni di alluvioni, cicloni, incendi e pandemie. Ci dovremmo pensare noi ad insegnarvi come riciclare. O forse ci dovreste insegnare voi come vivere in modo frugale, in modo rispettoso della natura, in modo rispettoso dei diritti altrui, in un modo che sia davvero sostenibile perché diciamolo, essere sostenibili in una società primo mondista è quasi impossibile. Essere rispettosi della natura e delle persone è un tentativo nobile che scade in un'ipocrisia ineluttabile, nascosta nella cultura e nei costumi di un mondo che non vuole rinunciare a nulla ma solo avere sempre di più.
    Cresciamo, e parlo per noi occidentali, con la consapevolezza che tutto è alla nostre portata, che non ci sono conseguenze alle nostre scelte d'acquisto, alle nostre scelte alimentari, alle nostre abitudini quotidiane, semplicemente perché quelle conseguenze sono troppo lontane da noi per essere notate e troppo dure per essere davvero concepite dalla nostra mente. A nessuno piace sentirsi il cattivo della situazione. A nessuno piace sentirsi ipocrita. A nessuno piace pensare che il suo stile di vita causi sofferenza. Eppure, io credo sia molto coraggioso prendere coscienza che non c'è sostenibilità senza la volontà di mettersi completamente in discussione. Non c'è sostenibilità senza andare oltre alle barriere culturali, ai confini nazionali, ai presunti principi morali, alle convinzioni personali, al "ma si è sempre fatto così", al "ma tanto se lo faccio solo io non cambia nulla". Svegliarsi dal grande sonno indotto dalla comodità e dalla cultura consumistica penso sia una delle sfide più difficili che l'umanità dovrà affrontare per salvarsi.
    Non c'è crescita economica che regga. Non c'è transizione ecologica che giustifichi questo stile di vita. Non ci sono aiuti internazionali che pongano rimedio all'egoismo di volere sempre di più.
    Cos'è quindi il cambiamento climatico? è la conseguenza ultima della necessità umana di massimizzare la sua ricchezza. È conseguenza diretta della ricerca della felicità in un'ottica consumistica. È l'effetto collaterale dell'aver abbandonato la ricerca di un equilibrio interiore a favore di un equilibrio esteriore, di apparenze, di cose. Ed è colpa nostra. Dei colonizzatori europei e di chi ha abbracciato la filosofia del "conquista e sfrutta". Perché questo facciamo. E lo facciamo indirettamente anche con queste donne Q'eqchi' a cui, dall'alto della mia formazione ottenuta in un paese del G8, spiego cosa significhi vivere in maniera sostenibile. Dovrebbe essere l'inverso. Dovrebbero loro spiegarci come vivere. In generale. Come vivere essendo appagati, felici, soddisfatti di avere il necessario per vivere e di avere il supporto di una comunità unita su cui poter sempre contare.
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  • Day 33

    Un mese dopo

    September 23, 2022 in Guatemala ⋅ ☁️ 20 °C

    Sono in viaggio verso la capitale per un weekend fuori porta. Quale momento migliore per riflettere sul primo mese passato in terra ciapina ("chapín" è una persona guatemalteca).
    Posso finalmente dire che inizio sentirmi a mio agio e ambientato. Ho passato una fase tosta di adattamento, una di quelle fasi in cui l'ansia e la nostalgia ti paralizzano. Ti manca la voglia di fare qualsiasi cosa, di uscire, di fare piccole cose come lavare i piatti o farti da mangiare. Una paralisi che mi capita quando divento schiavo delle paure. La cosa bella è che ho imparato a conoscere questo mio modo di reagire ai cambi di vita e ho imparato ad avere pazienza, ad aspettare che passi, a non lasciarmi trascinare in uno stato di buio e tristezza ma di restare aggrappato alla luce in fondo al tunnel che so esserci sempre. E il tunnel l'ho passato. Sono fuori e sono pronto a chiamare questo posto casa per i prossimi mesi. Ci sono avventure troppo entusiasmanti davanti a me che non vedo l'ora di vivere e che mi hanno dato la forza di restare postivo e di buon umore. Non nego che mi sono fatto uno o due piantini qualche settimana fa, colpa anche della malattia, ma sono un bel modo per lasciare andare le emozioni e non tenerle dentro. Sono momenti che rafforzano la conoscenza di sé e l'abilità di gestire emozioni forti, tra cui il senso di solitudine. La solitudine in viaggio è una compagna quasi onnipresente, sempre pronta a sbucare, ma mi ricorda il mio essere un animale sociale, in cerca di relazioni e di supporto. Mi ricorda la mia essenza. Amo esplorare ma amo anche la compagnia. In viaggio si incontrano molte persone ma sono relazioni transitorie, momenti di scambio quasi opportunistico che lasciano storie ed ispirazione. Ora cerco di costruire un cerchio sociale su cui poter contare. Antonella è sicuramente una benedizione e il nostro rapporto si sta trasformando in amicizia, ed è bello sapere che anche qui c'è qualcuno con cui poter programmare di andare al cinema o a fare un giro fuori porta.
    Un primo mese iniziato col botto, che ha passato una fase di adattamento e che termina con tranquillità e voglia di nuove emozioni.
    Ora inizia il mese più intenso per il lavoro di ricerca che fortunatamente procede bene, tutti i problemi si stanno risolvendo. Speriamo tutto continui a filare liscio.
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  • Day 35

    Lago di Atitlàn

    September 25, 2022 in Guatemala ⋅ ⛅ 20 °C

    Nuovo posto sbloccato ✅
    Sono andato alla capitale per una notte di festa e e poi via diretto in direzione Lago di Atitlàn. Dopo un po' di fatica nel trovare il punto da dove partono i bus (qui non è che ci siano mappe o fermate vere e proprie fermate, devi chiedere in giro) salgo su un "CHICKEN BUS" che significa letteralmente un "bus per polli" perché in effetti si sta schiacciati come galline. Dipende da tanti fattori ma io sono stato davvero sfigato. Il bus era iper affollato tanto che il controllore per riscuotere i pagamenti doveva arrampicarsi sui sedili. Niente di strano per loro, molto divertente per me. Mi sento l'adrenalina scorrere in corpo quando succedono attorno a me cose complemente impreviste. Dopo 4 ore arrivo finalmente a Panajachel, luogo turistico per eccellenza sulle rive del famoso Lago di Atitlàn, un lato di origine vulcanica, circondato da 2 vulcani spenti e che si trova a 1500m sul mare. La natura che lo circonda mi colpisce. È un lago di montagna ma con vegetazione tropicale. Un panorama unico. Ovviamente quando arrivo piove ma decido di andare a fare un giro in barca Devo raggiungere un hotel in cui forse lavorerò in cambio di vitto e alloggio a dicembre, così tanto per venire a vivere in questo paradiso. La barca mi lascia proprio sul molo dell'hotel ma per tornare indietro devo raggiungere a piedi il paese. La foresta che attraverso è pazzesca. Avevo i brividi da esplorazione, volevo solo continuare a camminare ma si stava facendo buio. Concludo la giornata con una cenetta asiatica buonissima e il giorno dopo mi risveglio col sole. Finalmente. Faccio una bella passeggiata fotografica e poi riparto. Arriverò a casa a Cobàn dopo 8 ore di autobus e 6 autobus diversi per stradine sperse di montagna che ovviamente gli autisti percorrono a circa 100 all'ora (non scherzo). L'idea di trasferirmi in un posto più turistico e più immerso nella natura non mi dispiace ma tutto dipende dal progetto che sto seguendo e dalle sue tempistiche. Incrocio le dita.Read more

  • Day 38

    Rituale indigeno

    September 28, 2022 in Guatemala ⋅ ⛅ 24 °C

    Mercoledì sveglia alle 4 di mattina e partenza per una comunità un po' dispersa in mezzo alle "montagne". Dovevamo arrivare prima dell'alba, momento in cui sarebbe iniziato un rito indigeno propiziatorio per cercare di usare la nostra energia per non alterare quella della natura che ci ospitava. Dovevamo piantare nuovi alberi ma, in queste comunità, prima di modificare l'ambiente circostante è sempre bene assicurarsi di non stare alterando anche qualche equilibrio energetico. Arriviamo dopo aver percorso stradine sterrate impraticabili senza un pick-up o senza la doppia trazione. Mi accolgono con sguardi di stupore. Non credo si aspettassero un bianco a presenziare la cerimonia ma mi accettano nel cerchio e mi consegnano delle candeline colorate. La guida spirituale inizia il rito spiegando in lingua indigena cosa si farà. La prima tappa è l'accensione del fuoco che resterà poi acceso mentre si susseguono diverse volte riti ripetitivi: versare acqua e cacao nel fuoco, versare alcol, "benedire" gli anziani del villaggio, sputare acqua (letteralmente) addosso ai rappresentanti degli ospiti (tra cui il mio collega), versare semi di sesamo nel fuoco, lanciarci dentro piccoli sassi, e di tanto in tanto imprimere di energia una o più candeline e gettarle a loro volta nel fuoco. Il rito dura circa un'ora o un'ora e mezza e finisce con una tazza di cioccolato caldo per tutti e una bevande super alcolica ottenuta dalla fermentazione di mais e cacao. Non mi fido a bere nessuna delle due viste le recenti intossicazioni, più che altro perché le tazze in cui le servivano sembrava non le lavassero mai. Me ne pento ovviamente ma ho ancora il terrore di stare nuovamente male. La giornata continua con consegna di magliette, discorsi, balli con lo sfondo musicale della marimba ed infine con il momento della consegna degli alberi da piantare. Alcuni li piantiamo subito immergendoci nella foresta che circonda la comunità. Una foresta verde e rigogliosa in cui però si vede l'impronta umana: tra gli alberi spuntano piante di caffè, di mais e di cardamomo. Per non parlare di confezioni di plastica o di alluminio di snack e bevande abbandonate a terra nel corso degli anni. Comunque sia è uno spettacolo per gli occhi. Le persone qui sono state davvero accoglienti, venivano spesso a parlarmi, a chiedermi da dove venissi, a raccontarmi della loro comunità e ad offrirmi dei mandarini. Probabilmente pensavano che fossi il benefattore degli alberi e delle magliette, quando in realtà non centravo nulla, ero un semplice spettatore.
    È stata una mattinata densa di emozioni, di energie forti e di sorrisi. Felice di aver avuto l'occasione di conoscere così da vicino la vita di queste persone.

    Nota a margine. Ogni comunità lungo la strada aveva una chiesa, cattolica o protestante o evangelica o altro di a me sconosciuto. Appena sono arrivato infatti pensavano fossi un sacerdote. Qui a quanto pare è normale che si spingano persone di fede per cercare di portare il loro credo tra queste montagne a scapito della cultura e delle credenze che gli anziani portano avanti, molti dei quali vengono poi perseguitati e alcune guide spirituali anche uccise. Le religioni "occidentali" monoteiste vengono qui portando spesso denaro in cambio proselitismo. Non dico sia un male assoluto ma la globalizzazione, anche spirituale, porterà alla perdita di riti e credenze che spesso hanno come principio di base il rispetto della natura. I popoli indigeni Q'eqchi' credono di essere un tutt'uno con la madre terra e dispregiarla significa mancare di rispetto alle loro stesse anime. Non appena questo verrà soppiantato da altre credenze con l'arrivo degli occidentali, le loro terre verrano quasi inevitabilmente convertire a serbatoi di risorse da usare ed esportare, come è già successo in altre comunità. È un'altra storia di colonialismo mascherato, l'ennesima evidenza che il modello capitalista occidentale ha il potere di imporsi, con la scusa di togliere le persone dalla povertà e dalla "vita barbarica", anche nelle comunità più remote. A volte fortunatamente si sviluppa un certo sincretismo religioso e si vedono persone partecipare a riti indigeni mente portare collane con croci cristiane o borse con scritto "Gesù è il buon cammino". Questo tipo di comunione di fedi è già più sano e auspicabile. Non far perdere l'identità a queste comunità è fondamentale, lo ripeto, perché non perdano il contatto con le loro terre e con la protezione che garantiscono alla natura che le circonda. Sono la prima linea nella lotta alla degradazione ambientale e per la conservazione delle risorse naturali. Non servono aree protette qui, servono più diritti per i popoli indigeni.

    (scusa mamma lo so scrivo sempre tanto ma quando inizio poi non mi fermo più e devo lasciare uscire questi pensieri)
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  • Day 45

    Distese di Palma da Olio

    October 5, 2022 in Guatemala ⋅ ⛅ 30 °C

    Le foto fatte da un tuk tuk che inciampa su ogni pietra di una stradina sterrata tra le distese di palma da olio non rendono l'idea della vastità di queste monoculture. Oggi sono entrato in una piantagione di palma. Si un po' come quella dello spot della Nutella che dice "olio di palma da piantagioni sostenibili", solo che non siamo in Indonesia ma in Guatemala, precisamente nelle Terre Basse del Nord, a circa due ore e mezza da Cobàn, dove vivo io. Siamo alla ricerca di comunità rurali in cui venire a portare a termine lo studio per la mia tesi. Tesi che dovrebbe anche trattare l'influenza che piantagioni di questo tipo hanno e hanno avuto sulle vite di queste persone indigene. L'impatto è forte. Intere comunità che si identificano con qualche casa/baracca, un campo da calcio, qualche cane e rigorosamente una chiesa, interamente circondate da palme. "Non abbiamo spazio per le nostre terre", mi dicono i capi comunità quando ci accolgono in una capanna idilliaca in mezzo al verde tropicale e all'afa da Pianura Padana in piena estate. "Ci hanno tolto le nostre terre e ci contaminano le fonti d'acqua, ma non vogliamo andarcene, vogliamo lottare" (sto parafrasando). Un po' mi viene da piangere onestamente. Me ne resto lì con la testa bassa. A disagio. Non so come aiutare queste persone e si aspettano chiaramente che il mio studio le possa aiutare. Il mio studio è solo una tesi, una tesi non può salvare queste persone, solo una mobilitazione, una grande disobbedienza civile, una trasformazione della loro storia in documentario Netflix potrebbe forse rendere il caso così pubblico da fare pressione su queste imprese. Imprese multinazionali che esportano soprattutto in Olanda e da lì a tutta Europa. Anche questo olio di palma viene classificato come sostenibile anche se prodotto dal non rispetto dei diritti umani, col solito pretesto di portare lavoro e sviluppo in queste zone. Qui questa gente non l'ha mai chiesto uno sviluppo di questo tipo. Qui vogliono andare a scuola, vogliono che i loro prodotti, i prodotti delle loro terre, possano avere un mercato. Vogliono poter contare sulle lore fonti d'acqua e vogliono che il governo riconosca la loro presenza. Questi sono i luoghi dove durante la guerra civile si sono compiuti genocidi al solo scopo di sottrarre terre eliminandone i proprietari. Lo stato ha cosi avuto via libera per vendere queste terre alle multinazionali dei Paesi che lo finanziavano con l'invio di armi, primi fra tutti Canada e Stati Uniti, le cui aziende estrattiviste continuano a fare man bassa di risorse. Ora arrivano e li circondano, gli promettono lavoro, li intimidano e li costringono a vendere le terre anche con la forza.
    "Non ci considerano come esseri umani"
    Questa frase mi spezza il cuore.
    Quante volte noi privilegiati, bianchi occidentali, non riconosciamo e non abbiamo riconosciuto, chi non ci assomiglia per aspetto, cultura, "rango sociale", come un essere umano?
    Ancora una volta mi ritrovo a pensare come l'intersezionalitá delle oppressioni abbia alla radice dei suoi mali il capitalismo, frutto di politiche liberali colonialiste. Le nostre scelte nei supermercati infatti ricadono anche su queste persone.
    Ma come può un cittadino farsi carico di tutte queste considerazioni? Come può la politica essere così maledettamente bastarda da lasciare al cittadino la responsabilità di scegliere tra prodotti che rispettano ambiente e diritti umani e prodotti che non lo fanno che però si trovano a prezzi più bassi?
    Non ho risposte a queste domande. Ho solo tanta amarezza.
    Torno a casa "felice" di aver avuto l'opportunità di toccare con mano anche questo tipo di oppressione, perché ora vedo ancora più chiaramente cosa non voglio vedere nel mondo, e triste per non avere gli strumenti e la determinazione per poterla eradicare.
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  • Day 56

    Weekend fuoriporta

    October 16, 2022 in Guatemala ⋅ 🌧 22 °C

    Mi ero ripromesso di fare un viaggetto ogni weekend, tempo permettendo, e così è stato negli ultimi due.

    Oggi con la famiglia di Antonella, che mi invita ogni weekend a cena, siamo andati sulle colline attorno alla città, alla Cooperativa Chicoj, dove una comunità gestisce una piantagione di caffè, offre tour e degustazioni e anche un bel percorso in zipline. La combo natura, sole, zipline, bella compagnia e caffè d'altura hanno reso la giornata memorabile. Sicuramente una delle più belle da quando sono arrivato. Ormai mi considerano loro fratello e stanno programmando ogni weekend per portarmi ad esplorare posti incredibili qui attorno. Mi sento tanto fortunato. Resto a cena e giochiamo a carte con i due nipotini di 9 anni che ormai mi adorano. Mi manca la mia famiglia ma torno a casa felice.

    Domenica scorsa invece sono stato con Denis a San Cristóbal, paesino carino con una laguna che solitamente si può navigare in barca, se non fosse che il "lanchero" quel giorno non si è presentato a lavoro. Siamo saliti allora in cima alla collina, per assaporare la vista dalla Chiesa del Calvario proprio prima della pioggia. Il tempo ci ha costretti a rifugiarci in un locale che detiene la ricetta segreta di cocktail piuttosto forte, la Lemonada, che attira giovani guatemaltechi da tutti i paesi vicini. Ah e ho comprato una piantina per celebrare la bella giornata.
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  • Day 78

    Raccolgo dati ed emozioni

    November 7, 2022 in Guatemala ⋅ ⛅ 28 °C

    Sono in visita alle comunità, che dovete immaginare come un mix tra baraccopoli nella natura, case di legno con tetti di paglia, e case in cemento in costruzione con tetti in lamiera. Il tutto condito con buone dosi di fango, cani randagi, galline e maiali liberi di scorazzare, e un'afa persistente che se potesse entrerebbe nelle ossa. Ciononostante, ai miei occhi, questi posti sono bellissimi. Pieni di semplicità, natura, occhi curiosi, bambini gioiosi, e tanta accoglienza. Quello che il mio sguardo fatica a vedere sono le enormi difficoltà che queste persone affrontano con oramai rassegnata naturalezza. Durante il primo giorno di raccolta dati siamo stati in una piccola comunità in riva al fiume, oramai circondata dalle piantagioni di palma da un lato, che contaminano le loro acque e sottraggono le loro terre, e da un fiume sempre più soggetto ad esondazioni dall'altro. Non hanno scampo. Ho passato la serata a pensare a come poter aiutare queste persone se ne avessi il potere. Potrei aiutarli a combattere contro l'industria della palma, ma contro il fiume la questione è più complessa. Non si può combattere la natura. La protezione della loro comunità necessiterebbe o di opere d'ingegneria fluviale, decisamente troppo onerose e impattanti, o di una maniera veloce di contrastare il cambiamento climatico, assolutamente impensabile nel breve termine. In poche parole: sono fottuti. Non sono riuscito a pensare ad altro se non a trovare un modo affinché se ne vadano da lì. Non ci sono alternative. Devono fare i bagagli. Ed è proprio qui che la questione si complica.
    Facciamo un gioco di ruolo: vivi in una terra condivisa con la tua comunità, di cui non possiedi titolo di proprietà (non puoi vendere), e vivi in una casa di legno (non la puoi vendere) e ti cibi dei frutti della terra (che bastano a malapena a garantire il minimo apporto calorico necessario a te e alla tua famiglia). Anche se te ne volessi andare, come pensi di farlo? e soprattutto, andare dove? in città con il suo costo della vita elevato? in un'altra comunità della zona che vive quasi le stesse problematiche? all'estero? e con che soldi?
    Queste persone non hanno vie d'uscita. Se hanno la fortuna di possedere del terreno, litigano con l'idea di venderlo all'industria della palma, perché sì questo li aiuterebbe economicamente a migrare ma li lascerebbe senza terra e non farebbe che peggiorare le condizioni ambientali della loro comunità, comunità in cui sono nati e cresciuti, in cui vivono persone con cui hanno condiviso molto, se non tutto.
    Come si aiutano persone che vivono in queste condizioni? come trovare la forza di dirgli: l'unica soluzione che hai è di trovare la felicità con quel che hai. Perché è così. La legge non li aiuta. Lo stato non li aiuta. Le organizzazioni internazionali poi di tanto non possono fare. Non hanno altro se non loro stessi e la loro capacità di divertirsi e godere di quel poco che hanno. E gli basterebbe anche se non fosse che la loro acqua sa di aceto ed ha la consistenza dell'olio e il loro fiume puntualmente gli rade al suolo la casa e gli distrugge il raccolto.
    In tutto questo l'industria palmera mette letteralmente in pericolo le loro vite, con minacce di violenza e di persecuzione giuridica. I due capi comunità che ho conosciuto hanno un processo tra un mese in cui sono imputati per delle accuse che scopriranno solo quel giorno.
    Io onestamente ad un certo punto stavo per mettermi a piangere. L'emotività è nata dall'empatia che a sua volta è cresciuta al conoscere la storia e la vita di queste persone. Conoscere la storia di queste comunità è per me un privilegio ed un grande fardello. Un peso grande sulla mia sensibilità, difficile da smuovere. La tristezza e l'impotenza si siedono sul mio umore e restano lì finché il tempo non opererà la magia del soppiantare i miei pensieri e le mie emozioni con altri di nuovi. Io stesso non ho alternative se non cercare di restare positivo e concentrato, e sperare che quel poco che riuscirò a dire e a scrivere su di loro svegli l'empatia in altre persone. L'ho già scritto qui, il nostro stile di vita è concatenato alla vita di queste persone. Quando tornerò mi piacerebbe riuscire a parlare di queste comunità con più persone possibili. Credo sarebbe un'opportunità per rendersi conto che un sistema economico basato sullo sfruttamento incontrollato ha un duplice effetto: colpire le comunità che vivono con le risorse e con le terre che il sistema necessita; e colpire tutti con eventi climatici che causeranno sempre più morti e più migrazioni, migrazioni che altro non sono che l'ultima spiaggia, l'ultima opportunità di salvezza per molti esseri umani.
    Forse la mia unica salvezza è il "non vedo, non so, non soffro", perché una volta che sai, che vedi e che tocchi con mano, è quasi sicuro che soffrirai. L'ingiustizia non lascia scampo agli animi sensibili e ammetto, non con vanto o arroganza anzi quasi con una certa preoccupazione per la mia salute mentale, che la mia sensibilità in queste occasioni non aiuta.
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